Enjoy food, travels and life

Due giorni di preparativi, due giorni in cui i miei genitori svaligiavano il supermercato e sommergevano i ripiani di lavoro e il tavolo della cucina di vassoi pieni colmi di panini, affettati, salse, patatine, popcorn, tartine con caviale, salmone (robe proprio da anni '80), torte e dolci a non finire.
Ce n'era per sfamare un reggimento.
La sera precedente era sempre dedicata alla torta principale: un triplo strato di pan di Spagna con crema pasticcera, crema al cacao e una montagna di panna montata su cui venivano adagiati decori di zucchero e il mio nome scritto in corsivo da babbo con un sac à poche.
Era una bomba!
Guai a sbagliare, non si poteva sbagliare.
Non c'era il tempo per rifarla, né per aggiustarla.
Da tanto che era grossa occorreva fare spazio in frigo e quando la si portava al tavolo chi l'aveva in mano veniva seguito come un prete alla processione. Un passo falso e sarebbe successo un disastro.
Assieme i miei genitori preparavano tutto questo ben di Dio, mentre a me competeva la parte di marmocchio rompiscatole fra i piedi ma soprattutto di intrattenimento per gli amici.
Io pensavo ai giochi, pensavo ai regali che avrei fatto a mia volta, pensavo alla musica, pensavo ad assaggiare e a mangiucchiare di nascosto.
Non so quante volte andavo ad aprire il frigo prima della festa per ammirare i dolci e vedere se erano ancora tutti interi, se la bomba non si era colata, o se qualcuno l'aveva intaccata.

Questi sono alcuni scorci della marea di ricordi che ho delle mie feste di compleanno di quando ero piccina.
Giornate favolose spese nell'attesa della festa, nel piacere dei preparativi, nell'accoglienza degli amichetti, nell'emozione nello scartare i loro regali e nella gioia di fare festa tutti insieme.

C'è una cosa però che forse i miei non sanno, ossia che la mia torta preferita non era la bombamegapannosa con le candeline sopra, ma era la Crostata del ghiottone. Mi mandava in estasi e il nome con cui lo chiamava mia mamma era tutto un programma.

Crostata del ghiottone ricetta con cioccolato e caffè buonissima torta chocolate and coffee tart recipe

Un dolce davvero insolito per una bambina poiché non era molto dolce e con un chiaro retrogusto amaro di caffè. Eppure lo amavo come amavo la base di frolla sablée che si sbriciolava e scioglieva in bocca e lo strato al cioccolato morbido ma dalla consistenza più densa del budino.
C'era solo una cosa che mi fermava dall'intaccare il dolce la sera prima della festa: il fatto che non era buono.
Già, appena sfornato, quando ancora lo strato al cioccolato e caffè non era perfettamente rappreso e freddo il dolce era buono sì e no un decimo rispetto a dopo una notte di riposo in frigo.
E così io aspettavo in gloria il momento di poter mangiare questo dolce il giorno seguente.
L'attesa era una tortura, l'assaggio era un piacere, la condivisione pura coercizione, ma non c'era alternativa.


C'è un motivo per cui mi è venuta in mente questa storia: perché ieri il piccolo Zonzolando faceva quattro anni.
Quale modo migliore per festeggiare il zonzocompleanno se non con uno dei miei dolci preferiti, uno di quelli a cui sono in assoluto più legata, che hanno scritto la mia storia e che al solo pensiero mi regalano ricordi fantastici.
Non nego che è un dolce particolare, non ho trovato nessuno a cui non piacesse ma non a tutti fa impazzire quanto me. Lo stesso Massimiliano lo apprezza, lo potrebbe finire ma non lo inserisce nella rosa dei dolci da "sbattersi per terra". Per me invece è proprio una ghiottoneria, e da buona golosona credo che gli sia stato affibbiato proprio il nome adatto. :-)

Crostata del ghiottone

Preparazione: 30 min.Cottura: 50 min.Riposo: 12 ore
Porzioni: 12 Kcal/porzione: 335 circa
Ingredienti:

Per la frolla sablée:
  • 230 g di farina 00
  • 125 g di burro
  • 60 g di zucchero
  • 2 tuorli
  • Scorza grattugiata di ½ limone non trattato
Per la crema:
  • 3 uova
  • 20 g di farina 00
  • 100 g di cioccolato fondente
  • 1 tazzina di caffè espresso
  • 400 ml di latte intero
  • 200 ml di panna fresca
  • 30 g di zucchero
  • ½ baccello di vaniglia
Preparazione:

  1. Disporre la farina a fontana e unirvi al centro il burro lasciato ad ammorbidire a temperatura ambiente, i tuorli, lo zucchero e la scorza di limone. Lavorare molto velocemente la frolla fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Avvolgerlo nella pellicola trasparente, riporlo in frigo per circa un'ora e nel frattempo procedere nella preparazione della crema.
  2. Scaldare in un pentolino il latte e la panna. Al primo bollore togliere il pentolino dal fuoco, unire il cioccolato tritato grossolanamente e mescolare fino a farlo sciogliere completamente. Lasciarlo raffreddare.
  3. A parte in una ciotola a bordi alti rompere tre uova e sbatterle molto bene ma senza montarle, unire il caffè, i semi di mezzo baccello di vaniglia e poi poca alla volta la farina setacciata fino ad ottenere un composto omogeneo e senza grumi.
  4. Unire il cioccolato al composto di uova e farina e mescolare bene.
  5. Accendere il forno a 180 °C in modalità ventilata.
  6. Stendere la pasta frolla con l'aiuto di un matterello fra due fogli di carta forno o su un piano infarinato. Arrotolare la pasta sul matterello e srotolarla su una tortiera con ø 24 cm.
  7. Rifinire i bordi della crostata e poi versare al centro la crema al cioccolato e caffè.
  8. Infornare la crostata, abbassare la temperatura a 150 °C e cuocere per 40 minuti.
  9. Trascorso questo tempo spegnere il forno, aprirlo leggermente e lasciarvi la crostata fino al raffreddamento.
  10. Una volta fredda trasferirla in frigo e lasciarla riposare per almeno 8 ore prima di consumarla.
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Tanti auguri Zonzolando, mille altri di questi giorni! :-) ♥︎ ♣︎


A scuola, ahimè secoli fa, chimica era una delle mie materie preferite.
Non che fossi un genietto, ma tra formulette, reazioni e tavole periodiche me la cavavo abbastanza per altro con una certa soddisfazione.
A distanza di anni, non rinfrescando i concetti (sì, sì bella scusa Elena va!), ho rimosso quasi tutto, praticamente una formattazione, salvo il motivo per cui l'amavo tanto ossia la sua capacità di poter spiegare qualsiasi cosa al mondo.
Quando avevo un dubbio, qualsiasi dubbio, sapevo che lei o la matematica potevano toglierlo. E laddove non si sapeva la risposta non era perché lei non sapesse spiegarla, ma semplicemente perché noi uomini non eravamo ancora in grado di decifrare consciamente il misterioso linguaggio con cui Madre Natura aveva scritto inconsciamente se stessa.

Il fatto che oggi io sia una fervente promotrice di tutto ciò che è biologico e naturale non significa che abbia rinnegato questo amore, soprattutto in cucina, anzi.
Trovo che la chimica possa essere una grande amica ai fornelli (e questo i pasticceri e i grandi cuochi lo sanno bene) e che non occorra escludere certi ingredienti nella convinzione che facciano male perché "chimici" o perché non disponibili in natura nella forma in cui li conosciamo.
Nel post di oggi mi riferisco in particolare alla pectina, una sostanza naturale estratta (non prodotta poiché costerebbe troppo) artificialmente dalla frutta (in genere scorza di agrumi o mele) che permette di addensare e gelificare marmellate e confetture.

Confettura extra di ciliegie aromatizzata alla vaniglia ricetta per farla in casa vanilla cherry jam homemade recipe

Parliamoci chiaro: c'è chi dice che la confettura preparata come faceva la nonna è mille volte più buona, chi che per addensarla basta una mela grattugiata dentro e il risultato non cambia assolutamente, chi che la pectina cambia il sapore della marmellata e così via.

Queste affermazioni arrivano da esperienze comprovate?
A parer mio sarebbe sempre opportuno parlare e giudicare se si conosce la questione e se si è provato ciò che si dice, anche perché io sinceramente ho provato e non mi risulta affatto.

Nei miei vari esperimenti ho provato a:
  1. fare la confettura della nonna.
    Ho torturato la frutta (esperimenti con bacche di sambuco favolose e con pesche) cuocendola per un'ora e mezza con il risultato che è vero che dopo tutto questo tempo la confettura acquista consistenza ma sa di frutta caramellata.
    Per di più ho massacrato una materia prima che era anche di buona qualità, ho sudato sette camicie in estate ai fornelli e ho sprecato tempo e gas. E' più dolce... ma te credo! Perché è più zuccherina per via che la frutta è più disidratata ma al tempo stesso anche più calorica, non scordiamocelo.
    Inoltre ho capito un'altra cosa: la nonna della mia amica Elisa, che sfornava quintali e quintali di confettura di albicocche, non c'aveva proprio un ca...ppero da fa'! Che poi, anche per mia nonna che non ha mai fatto confettura ma si dedicava ore e ore alla maglia e all'uncinetto, vale la stessa conclusione di poc'anzi.
  2. mettere mezza mela grattugiata.
    Uno schifo! La mela si sentiva eccome. Ho buttato tutto (esperimento con cachi), cosa che raramente succede nella mia cucina e che mi fa andare in bestia alquanto. Grazie tante del consiglio, tsè! L'aggiunta della mela non cambia solo la consistenza, come si auspicherebbe, ma anche il colore e soprattutto il sapore.
  3. fare il confronto con due vasetti davanti, uno con e uno senza pectina (esperimento con confettura di albicocche).
    Non è vero che si sente la pectina, non è vero che sa di acido, non è vero che fa male, non è vero che rimane liquida perché basta saperla dosare o seguire i consigli per addensarla ancora di più qualora non fosse della consistenza gradita. La differenza sta a parer mio nella corposità della frutta che in quella con pectina rimane più idratata.
    Insomma la pectina fa per me, ergo la uso.

Negli ultimi giorni sono arrivate un bel po' di ciliegie (quest'anno straordinarie) e non riuscendo a consumarle tutte in tempo abbiamo deciso di farne confettura.
In controtendenza rispetto agli anni scorsi, in cui preparavo la confettura in purezza, ho deciso di aromatizzarla impiegando la vaniglia.
Al primo esperimento mi sono fidata del dosaggio di una ricetta che ho trovato sul Web, ma forse perché uso baccelli di vaniglia e non vanillina, il profumo era secondo noi troppo forte e nascondeva quasi quello delle ciliegie e così abbiamo deciso di ridurre la dose nella preparazione successiva.
Se preferite un forte profumo di vaniglia allora usate un baccello intero.

Confettura extra di ciliegie e vaniglia

Preparazione: 30 min.Cottura: 20-25 min.Riposo: nessuno
Porzioni: 4 vasi da 300g Kcal/100g: 150 circa
Ingredienti:

  • 1,2 kg di ciliegie
  • ½ baccello di vaniglia
  • 300 g di zucchero di canna¹
  • 24 g di pectina² (1 busta 3:1)
  • Succo di un limone (solo se necessario)
Preparazione:

  1. Lavare accuratamente le ciliegie, asciugarle bene e snocciolarle tutte. Se si preferisce una confettura a pezzi grossi lasciarle così, altrimenti tritare grossolanamente le ciliegie con l'aiuto di una mezzaluna o qualche colpo di mixer a bassa velocità per ottenere una media pezzatura, o frullarle del tutto per una confettura cremosa.
  2. Pesare la frutta una volta pulita, trasferirla in una pentola a bordi alti e pesare lo zucchero con un rapporto 3 a 1, ossia 1 kg di frutta per 330 g di zucchero e loro multipli.¹
  3. Unire la pectina e sia i semi del mezzo baccello di vaniglia che il mezzo baccello stesso. Mescolare per amalgamare il tutto e poi trasferire sul fuoco più alto.
  4. Portare a bollore la confettura e farla bollire per qualche minuto. Di solito la confezione della pectina riporta 3-5 minuti.
  5. Trascorso questo tempo togliere il baccello di vaniglia e fare la prova di consistenza su un piattino facendo raffreddare un poco di confettura. Se avrà la consistenza desiderata allora toglierla dal fuoco e invasarla in barattoli sterili. Se invece risultasse ancora troppo liquida aggiungere il succo di mezzo limone, cuocere ancora per qualche minuto e poi riprovare sul piattino l'addensamento.
  6. Sigillare ermeticamente coi tappi e una volta chiusi capovolgere i barattoli per creare il sottovuoto.
Note:

  1. Nel mio caso il rapporto è addirittura superiore e non ho mai avuto problemi.
  2. Attenzione: la pectina che si trova comunemente in commercio può non essere adatta ai celiaci e agli intolleranti al lattosio per cui controllare le indicazioni riportate sull'etichetta del prodotto.
  • Si può anche scegliere di fare una seconda sterilizzazione immergendo i barattoli avvolti in un telo in acqua bollente per almeno 15-20 minuti.
  • In alternativa alla seconda sterilizzazione di solito faccio così: prendo una coperta, metto i barattoli appena riempiti e capovolti uno ben vicino all'altro ancora roventi e poi li avvolgo bene con la coperta. Questo per fare in modo che la confettura continui a tenere una temperatura elevata il più a lungo possibile. Generalmente il giorno seguente i barattoli sono ancora caldi. Conservarli in un luogo fresco, asciutto e al buio.
  • Una volta aperta la confettura va conservata in frigo.
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Detto questo, nonostante l'amore per la chimica, non mi convince comunque l'uso dei solventi per l'estrazione della pectina e invito chi è più preparato di me a darmi delucidazioni in merito. Inoltre non sono ancora capace ad utilizzare teglie o stampi di silicone in forno, pellicole o cartocci in cui infilare il cibo durante le cotture.
No via, 'un ce la fò proprio.
OK, mi autovaluto con 4½, max 5-. Cercherò di applicarmi di più. ;-)


ATTENZIONE! La lettura del successivo paragrafo è sconsigliata ad un pubblico cinese, tradizionalista, cinese tradizionalista, esperti ed estimatori di gastronomia e cultura cinese.
Qualora si verificassero crisi di identità, dissociazioni spazio-temporali, nausea, sconforto e nostalgia dei piatti della terra natia come faceva mammà rivolgersi al tour operator competente più vicino. Zonzolando declina ogni responsabilità in merito a denunce per frode nell'esercizio del commercio, contraffazione di nomi e marchi, sit-it in ambasciate, falò di passaporti, code chilometriche a check-in e fughe di massa e vi augura (a tutti quanti, cinesi e non) buona lettura! :-)

Il riso alla cantonese è il piatto in assoluto più tipico e conosciuto della cucina tradizionale cinese. Si stima che le sue origini siano molto più antiche di quanto si possa immaginare e addirittura risalenti alla prima dinastia Xia. Pare che fosse diffuso soprattutto nella regione del Canton da cui poi ha preso il nome.
A dimostrazione del fatto che questo piatto ha origini antichissime, recenti ricerche finanziate dal colosso mondiale di fast-stick-food cinese McCanton, hanno permesso al team di esperti capitanato dal capoclasse della scuola materna Chò-fam, di portare alla luce antichi reperti dal valore storico inestimabile.
Sono state infatti rinvenute praticamente intatte apposite padelle di ceramica antiaderente particolarmente adatte alla cottura ad induzione (molto in voga all'epoca), alcuni resti di riso e un'anfora in vetro contenente salsa di soia di prima qualità identificata grazie alle indicazioni riportate sull'etichetta.
Se tutto il mondo gusta tutt'oggi questo piatto lo dobbiamo grazie al tramandarsi di generazione in generazione della ricetta originale e alla dedizione propria della cultura cinese verso questo piatto.
Si tratta a tutti gli effetti del piatto tipico nazionale e si stima che oggigiorno ogni cinese ne consumi oltre un quintale e mezzo ogni anno.
A distanza di secoli per timore di perderne l'autenticità a causa della globalizzazione, la ricetta originale è stata trascritta su un documento ufficiale ora custodito gelosamente dall'illustre Accademia della Glumetta di Pechino in una teca iso-igro-termica blindata.

Ricetta perfetta del riso alla cantonese chinese rice with eggs peas smoked ham recipe tasty

Ehm... ok, forse ho esagerato un pochino.
Ecco forse più brevemente come stanno realmente le cose.

Il riso alla cantonese è un tipico piatto della cucina tradizionale cinese estera, ossia un piatto che nessuno ha mai mangiato in Cina così come ci viene presentato, ma che si mangia comunemente all'estero nei ristoranti etnici.
Praticamente un po' come le fettuccini Alfredo, o la creamy carbonara con la panna, presunti piatti tipici della cucina italiana che si mangiano solo all'estero e con i quali spesso viene confusa e ammazzata la reale cucina nostrana, ma che soprattutto a noi italiani fanno davvero storcere il naso.
Con più probabilità si tratta quindi di un piatto che vorrebbe assomigliare a qualcosa di analogo nella tradizione cinese ma che alla fine è stato storpiato per via di aggiustamenti culturali, mancanza di idonei ingredienti o strumenti per la sua preparazione.
Per di più gli viene attribuita una paternità geografica ben precisa, ossia il Canton. Ancora una volta mi viene in mente l'associazione con l'internazionalmente conosciuta pasta alla bolognese, in Italia nota ai più come pasta al ragù. Ne ignoro totalmente il motivo, forse c'è qualche IGP di mezzo, qualche accordo Emilia-Paesi esteri che non conosco? I cantonesi chissà come se la ridono, ma del resto si tratta pur di riso no? ;-)
Al di là di questi falsi miti si può affermare che siamo davanti ad un piatto senz'altro molto apprezzato da un vasto pubblico per il suo sapore, i suoi colori e la sua aria orientale.

Bene, dopo aver chiarito come stanno probabilmente le cose ecco la versione che ho trascritto e tradotto personalmente dal prezioso documento custodito a Pechino, in occasione della mia ultima visita ufficiale all'Accademia della Glumetta.

Riso alla cantonese

Preparazione: 15 min.Cottura: 30 min.Riposo: 1 ora
Porzioni: 4 Kcal/porzione: 500 circa
Ingredienti:

  • 280 g di riso a chicco lungo (tipo basmati)
  • 3 uova
  • 200 g di prosciutto cotto¹ affettato spesso 3-4 mm
  • 200 g di piselli (freschi o surgelati)
  • 1 cipolla bianca
  • 15 g di olio di semi di arachidi
  • 10 g di olio di semi di sesamo
  • Sale q.b. (o salsa di soia¹)
Preparazione:

  1. Cuocere possibilmente a vapore il riso, altrimenti farlo bollire in acqua non salata. Scolarlo molto bene e lasciarlo raffreddare almeno un'ora in frigo.
  2. Lessare i piselli e una volta cotti al dente raffreddarli velocemente per fargli mantenere un colore verde acceso.
  3. Tagliare a cubetti il prosciutto cotto.
  4. Tritare finemente la cipolla e farla soffriggere a fiamma bassa nell'olio di semi in un wok o una padella antiaderente.
  5. Una volta dorata unire il prosciutto e farlo rosolare per qualche istante.
  6. Aggiungere il riso freddo, poi alzare la fiamma e versare le uova precedentemente sbattute in una ciotola.
  7. Non smuovere fino al momento di rappresa delle uova, poi mescolare con una spatola e amalgamare il tutto.
  8. Condire con sale o salsa di soia e unire infine l'olio di sesamo.
  9. Unire i piselli, saltare ancora per paio di minuti e infine servire.
Note:

  1. Nel caso di persone intolleranti al lattosio e al glutine leggere attentamente l'etichetta del prodotto.
  • E' bene non usare solo olio di semi di sesamo poiché in frittura ha un punto di fumo basso.
  • Se non si ha l'olio di semi di sesamo si può sostituire con olio di semi di arachidi.
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Dimenticavo di precisare il motivo della mia visita all'Accademia della Glumetta: sono stata invitata come ospite onorario per parlare della cucina italiana e per registrare uno show cooking dedicato ai Maccaroni al formaggio che ho sapientemente preparato con un quintale di Parmesan e Cheddar filante.
Mi hanno fatto pure la standing ovation.
W la cucina italiana!
W la tradizione!
:-)


P.S.: a parte le bischerate (non c'è niente da fare, è più forte di me!), provatelo! E' buonissimo!


Quando siamo all'estero uno dei luoghi in cui adoro zonzolare sono i negozi di alimentari o ancora meglio i supermarket.
Quante cose che raccontano i supermarket! Ci si potrebbe fare dei veri e propri studi antropologici.
Amo quelli all'esterno in maniera inversamente proporzionale a quanto frequento quelli in Italia.
Adoro perdermi fra le corsie piene di prodotti, vedere quali conosco e capire con che criteri sono disposti, mi piace confrontare le grandezze dei vari reparti rispetto a quelli italiani (per esempio ho notato che i banchi di cibo preconfezionato sono sempre il triplo rispetto ai nostri) e amo osservare come la gente del posto fa la spesa. Quante cose che racconta la spesa!

Durante il nostro mese a York tutte le mattine avevamo un quarto d'ora di pausa (preciso manco fossimo in Svizzera) prima di riprendere i lavori.
Quindici minuti che si riducevano a dieci con il tempo di trasferta e che un giorno sì e uno no andavo a spendere interamente fra gli scaffali dei vari minimarket più vicini a noi, vuoi per sfamare la curiosità, vuoi per appagare le voglie di mezza mattina che mi prendevano da buona golosona quale sono.
Dopo un paio di merende fatte di schifezze poco salutari, sono incappata in una confezione arancione-rossa contenente due cilindri di biscotti impilati che riportava il nome Ginger Nuts, ma che la gente comune chiamava Ginger Snaps.

Mai assaggiati biscotti allo zenzero più buoni.

Biscotti allo zenzero ricetta english Ginger snaps biscuits cookies recipe

Questi biscotti, esattamente come preannunciava il termine "snaps" (ma che io non conoscevo) erano tondi, dolci, croccanti, secchi e duri.
Il primo giorno è stata dura smettere di sgranocchiarli uno dietro l'altro; erano buoni da sé e deliziosi nel tè. Il profumo ed il sapore dello zenzero era forte e persisteva in bocca anche dopo aver finito il biscotto, inoltre sentivo una piacevole nota di agrumi ed infatti negli ingredienti ho scoperto in seguito la presenza di "aroma" di limone.
Prima di ripartire per l'Italia ci siamo prima tolti un bel po' di voglie e poi ne abbiamo fatto scorta per il rientro. A casa invece ce li siamo centellinati per paura che finissero troppo presto.
Gli ingredienti sull'etichetta non erano proprio il massimo, c'erano olio di palma e aromi vari per cui una volta finiti mi sono ripromessa di replicarli, per quanto possibile, alla perfezione ma con ingredienti più genuini.
Dopo qualche prova con Massi, che mi diceva: erano più scuri, erano più duri, avevano più zenzero e così via, quando sono arrivata a sentirmi dire che erano praticamente uguali, forse un pochino meno dolci, ho tirato un rigo agli ingredienti e chiuso la ricerca. Avevo la ricetta! Finally!

Biscotti allo zenzero (Ginger snaps)

Preparazione: 20 min.Cottura: 15 min.Riposo: 1 ora
Porzioni: 30 biscotti circa Kcal/porzione: 45 circa
Ingredienti:

  • 160 g di farina 00
  • 1 uovo
  • 50 g di burro
  • 50 g di golden syrup
  • 50 g di zucchero di canna
  • 15 g di zenzero in polvere
  • Scorza grattugiata di ½ limone biologico non trattato
  • 1 pizzico di sale
Preparazione:

  1. Lasciare ammorbidire il burro a temperatura ambiente e nel frattempo grattugiare molto finemente la scorza di mezzo limone (solo la parte gialla oleosa) ottenendo quasi una purea.
  2. In una ciotola unire tutti gli ingredienti ed impastare sino ad ottenere un impasto liscio, omogeneo con una consistenza come la plastilina.
  3. Stendere l'impasto fra due fogli di carta forno fino ad ottenere uno spessore di 3 mm circa.
  4. Ritagliare con uno stampino di ø 4 cm i biscotti e posizionarli su una teglia rivestita con carta forno. Procedere così fino ad esaurimento dell'impasto.
  5. Mettere a riposare le teglie in frigo per un'ora. Dopo 45 minuti di attesa accendere il forno a 180 °C in modalità ventilata. Una volta in temperatura infornare i biscotti e cuocerli per 15 minuti. Sfornarli e lasciarli raffreddare completamente, diventeranno ancora più croccanti e consistenti una volta freddi.
Note:

Si conservano in un barattolo di latta ermetico, pulito e al fresco anche per 15 giorni.
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Mannaggia! Adesso che ci penso dovevo impegnarmi di meno. Visto che sono venuti tanto uguali ho una scusa di meno per tornare a riprenderli e fare un'altra zonzolata.
Va beh, ci sono mille altri buoni motivi per tornarci, Ginger snaps o no. ;-)


Ci sono luoghi che abbiamo visitato in cui abbiamo avuto la netta sensazione di essere stati catapultati nel futuro (vedi per esempio questo qui e qui), luoghi in cui abbiamo respirato arte e musica (come questo e questo), e luoghi invece in cui siamo stati trascinati in contesti storici, austeri e aleggianti di mistero.
Mai quest'ultima sensazione è stata così forte come in Inghilterra il cui climax è stato raggiunto proprio a Whitby ed in particolare nella sua abbazia.
Per vedere dove si colloca e approfondire le sue origini si possono trovare numerose informazioni su Wikipedia qui.

Cosa fare e vedere a Whitby in Inghilterra Baia di Robin Hood Bay consigli di viaggio trip advices what to see and do

Siamo andati in novembre scorso, mese che si traduceva in giornate corte, clima fortunatamente non troppo rigido, cielo grigio e pioggerellina fine che sembrava innocua e che invece inzuppava a tradimento.
Whitby ci ha accolto così al nostro arrivo in autobus, ossia con il clima perfetto per creare quell'alone tetro e di mistero che ci ha reso unico ed indimenticabile questo luogo.

Ecco qua sotto la vista di Whitby e della sua splendida (anche se in tremenda rovina) abbazia dal promontorio opposto, in cui abbiamo fatto una breve sosta alla statua di Cook, noto esploratore salpato da queste coste numerose volte.


Dalla parte destra del fiume Esk (spalle a monte) alla fine di Church Street si trova l'ingresso della scalinata che porta all'abbazia benedettina fondata probabilmente (incredibile pensare fin dove potrebbe essere arrivato questo popolo) su di un antico accampamento romano.
Da qui partono i 199 scalini (mi fido delle guide, io non li ho contati) che conducono dapprima al tetro cimitero e poi fino all'abbazia. Ogni gradino è stato recentemente ristrutturato per opera di privati a cui è stata dedicata una targa in riconoscimento dell'aiuto.
Centinaia di tombe, sarcofagi e lapidi sbilenche brulicano tetre intorno alla chiesa di St. Mary.
So che può essere davvero strano scriverlo ma, devo ammetterlo: sono rimasta incantata da questo luogo. Avevo visto cimiteri fatiscenti e assolutamente disordinati a New Orleans, cimiteri di lapidi tetre a Dallas, cimiteri abbandonati in Brasile e in molti altri luoghi, ma mai ero rimasta impressionata a tal punto.


Il mio professore di filosofia una volta, oramai secoli fa, disse che per conoscere un luogo a fondo non c'è niente di meglio che visitarne il cimitero.
Ho sempre trovato interessante questa affermazione e per la mia piccola esperienza devo dire che, se si tralascia il lato prettamente macabro della questione, non posso che dargli ragione. Abbiamo sempre trovato pezzi di storia, iscrizioni, lapidi, epitaffi interessanti come a Carrara, New Orleans, Parigi ecc.
Ma va beh, mi sto dilungando e andando fuori tema.


Tornando alle lapidi: incuriositi abbiamo provato a decifrare qualche scritta, ma il tempo, il muschio, i licheni e la salsedine hanno cancellato praticamente tutto e siamo rimasti con la nostra sete di sapere.
Come se noi, qualora non vi fossero stati tutti questi segni del tempo, fossimo stati in grado di leggere tre lettere in fila e quindi di tradurre un inglese di chissà che epoca lontana. Manco lo faremmo in latino, figurarsi in un possibile celtico. Eppure per onor di cronaca ci provammo. ;-)


Oltre la scalinata (non si spaventino i pigroni perché è fattibile con poco sforzo) si arriva all'ingresso del parco dell'abbazia. Questa pare raggiungibile direttamente o aggirabile senza biglietto, ma così non è. La struttura infatti si colloca ad un livello più alto rispetto al piano strada e per poterla raggiungere e visitare occorre recarsi nella struttura in foto qua sotto e acquistare il ticket.
Ho fotografato i prezzi in vigore al nostro ingresso ma per avere informazioni sempre aggiornate su prezzi e orari di accesso consiglio di visitare questo link qui.

L'interno della struttura ospita un piccolo museo con annesso shop dove acquistare qualche gadget o souvenir. E' proprio qui che abbiamo comprato, golosoni quali siamo, dei biscotti al doppio cioccolato. La biscottiera in latta che li conteneva staziona ancora in bella mostra nella nostra cucina, mentre il suo delizioso contenuto non ha visto nemmeno il suolo italiano perché è stato spazzolato in un batter d'occhio.


Terminato il breve giretto nel museo siamo passati su una passerella che dà diretto accesso al parco dell'abbazia e qua abbiamo capito subito del perché questo luogo appartiene ora all'English Heritage, un'istituzione pubblica che si prende cura del patrimonio storico inglese.
Abbiamo capito subito anche il motivo per il quale scrittori, artisti e religiosi sono stati colpiti da questo luogo nel quale sono stati ambientati romanzi ed eventi storici importanti.


Io e Massi siamo rimasti incantati dalle colonne, dalle volte e dai colori delle pietre. La struttura odierna, nonostante in forte rovina, rende perfettamente l'idea della grandezza dell'abbazia di un tempo, anche se è difficile poterla immaginare nella sua interezza e nei dettagli.

L'abbazia venne parzialmente distrutta per volere di Enrico VIII nel 1540 a seguito della Dissoluzione dei monasteri in Inghilterra per i quali il re decise la confisca delle proprietà della Chiesa cattolica inglese, e convertirle nella nuova funzione a capo della Chiesa anglicana.
Le rovine vennero ulteriormente intaccate a causa del prelievo delle pietre che venivano reimpiegate per altre costruzioni.


Non so quante foto ho fatto.
Non so quante foto ai miei compagni di viaggio ho scattato.
Non so quante ne abbiamo fatte a noi.
Questa bellissima versione inglese dell'abbazia di San Galgano toscana mi ha lasciata letteralmente stregata.
Se non fosse stato per: orario di chiusura dell'abbazia, bus di ritorno che ci aspettava di lì a poco, desiderio di vedere ancora una fetta di città e imbrunire imminente per le giornate corte, sarei rimasta lì sicuramente ancora un bel po'.


Al nostro ingresso in città (raggiungibile sia in treno che in autobus) e prima di ripartire abbiamo avuto modo di fare una breve zonzolata per le vie del centro.
Whitby è piuttosto piccola e non necessita di un lungo soggiorno. Nel giro di una mattinata si riescono a visitare le principali vie, il molo e il piccolo porto dove a novembre si vendevano quantità industriali di gelato (cosa che ci ha colpiti un sacco).
La città con le caratteristiche casette a schiera del XVII secolo si raccoglie per lo più alla foce del fiume e si sviluppa sulle pendici collinari limitrofe. Le vie principali pullulano di negozietti di souvenir e pare che vi sia un "Chippie" (rivenditore di fish and chips) ad ogni angolo.


E a proposito di fish and chips, in tutto questo resoconto non potevo dimenticarmi di raccontare di una delle parti fondamentali della zonzolata: il cibo!
Del resto si sa che l'appetito vien zonzolando, e talvolta anche prima. All'ora di pranzo, prima di entrare in abbazia e dopo aver fatto un breve giretto fra le vie di Whitby ci siamo fermati per un rifornimento "pre-199 steps".
Dopo aver gettato la spugna a causa della lunga attesa per entrare nel locale di fish and chips più gettonato del posto, ci siamo diretti in questo posticino decisamente più intimo e meno affollato qua sotto.
A sentire i commenti a posteriori di chi ha invece tenuto duro nella coda del primo locale, a noi è probabilmente andata meglio. Il gruppo di temerari non è rimasto infatti pienamente soddisfatto del famigerato pasto locale, al contrario di noi che anzi abbiamo mangiato il migliore fish and chips del nostro soggiorno in UK.
Con Massi ci siamo divisi un ottimo Seafood Plate, buono abbondante e molto saporito e Fish and Chips la cui frittura non era colante di olio, ma croccante e il sapore del pesce si sentiva eccome.


Riassumendo:
Periodo: novembre 2014
Dove: Monks Haven Cafe, 148-149, Church Street - Whitby (UK)
Pregi: uno dei migliori fish and chips che abbiamo assaggiato durante tutto il nostro soggiorno in UK, prezzi abbordabili, buon pesce.
Difetti: le cameriere stagionali inesperte e affette da misteriose forme di bradipsichismo, i tavoli piccoli e ravvicinati.


Dopo tante chiacchiere finisco col dire: andateci. Whitby merita.


Anche Pellegrino Artusi, grande gastronomo e divulgatore della cucina italiana, fu incuriosito dal nome particolare di questa ricetta e dopo qualche ricerca giustificò il nome "Fagioli all'uccelletto" con l'associazione fra il modo con cui venivano cucinati i fagioli e gli uccelletti cacciati, ossia con le medesime spezie ed aromi.

La ricetta della tradizione prevede l'utilizzo di salsicce toscane, che per la loro aromatizzazione, i loro profumi e i sughi che rilasciano in cottura, rendono questo piatto qualcosa di davvero eccezionale.
Si tratta di uno di quei piatti che una volta nella vita vale la pena assaggiare.
Il fatto che gli si attacchi l'aggettivo "scappato" sta nel fatto che in questa versione non vi è traccia della salsiccia.

Non me ne vogliano i simpatizzanti di Artusi, ma secondo me il motivo di questo nome era un altro, decisamente più legato alla goliardia toscana che al modo di preparare il piatto.
Da buona toscana infatti, leggo in chiave allegorica l'associazione salsiccia-uccelletto, a ben altro raffinato significato.
Mi sono fatta intendere, no? ;-)

Ricetta dei fagioli all'uccelletto scappato tradizionale toscana typical italian tuscany stewed bean recipe

Sono ricaduta nella versione "scappato" perché non avevo a disposizione una buona salsiccia toscana, fondamentale per la buona riuscita del piatto.

Devo dire che seppur meno saporita e unta, questa versione dietetica è davvero piacevole al gusto e costituisce uno dei contorni più sani che esitano grazie ai legumi e al licopene del pomodoro cotto. Inoltre l'impiego dell'aglio e della salvia regalano quel tocco profumato che mi piace tanto.

Fagioli all'uccelletto scappato

Preparazione: 10 min.Cottura: 1 ora e 45 min.Riposo: 8 ore
Porzioni: 4 Kcal/porzione: 290 circa
Ingredienti:

  • 250 g di fagioli cannellini secchi (600 g bolliti)
  • 600 g di pomodori pelati
  • 2 spicchi di aglio
  • ½ cipolla rossa piccola (facoltativa)
  • 25 g di olio extravergine di oliva
  • 1 rametto generoso di salvia
  • Sale e pepe q.b.
Preparazione:

  1. Lasciare almeno una notte in ammollo i fagioli secchi. Trascorse almeno 8 ore, scolarli e porli in una pentola (possibilmente di coccio), con acqua fredda fino a coprirli completamente al loro livello o poco più e farli cuocere a fuoco lentissimo. L'ideale sarebbe quella di non portare a forte bollore i fagioli ma di farli cuocere molto lentamente e man mano che l'acqua si ritira aggiungerne altra di fredda.
  2. A metà cottura (circa 35-40 minuti da quando si mettono sul fuoco) salarli leggermente.
  3. 15 minuti prima del termine della cottura dei fagioli tritare finemente la cipolla, schiacciare gli agli e fare soffriggere entrambi in una padella (ancora in coccio) con l'olio.
  4. Unire anche la salvia e infine i pomodori pelati schiacciati. Una volta cotti unire anche i fagioli scolati.
  5. Cuocere per 15-20 minuti sino a che il sugo si sarà ben ritirato, regolare di sale e pepe e servire.
Note:

Si possono impiegare anche altri tipi di fagioli. I borlotti sono un'ottima alternativa perché si prestano bene per un risultato ancora più cremoso. Attenzione però che rispetto ai cannellini hanno un tempo di cottura più breve.
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Vi consiglio di provali disponendo al centro del piatto dei crostoni di pane toscano (quindi "sciocco", non salato) tostati su una gratella ben calda e versandoci sopra una generosa dose di questi fagioli.
Per una versione ancora più saporita si possono strofinare i crostoni con dell'aglio e olio extravergine di oliva.
Buon appetito! :-)


Eccoci al nuovo appuntamento con la "Zonzolando's Serendipity Box", la scatola che serve a ricordare i piccoli grandi piaceri della vita cogliendo il meglio di ciò che ci offre.

Troppo spesso le nostre giornate sono riempite di pensieri e preoccupazioni tendendo a dimenticare il bello che nella vita c'è (sempre!). Con questa scatola voglio immortalare, se non tutto, gran parte delle cose belle che riempiono la mia/nostra vita quotidiana (ma che potrebbe essere anche quella di tutti), dalle grandi alle piccole cose che ci rendono felici e, ancora meglio, sereni.

E' un po' che non ci si vedeva vero?
Motivo della nostra assenza? Ancora una meravigliosa zonzolata nella mia amatissima, adoratissima, viscerale Toscana. La amo proprio s'è inteso?
Tanti bei momenti ancora da riordinare che probabilmente inserirò nelle prossime serendipity. Qui sotto ecco invece maggio, un mese ancora una volta difficile ma comunque ricco di bei momenti e serenità.
Parto dalla Serendipity Box n° 90, dove ho inserito anche alcuni ricordi di inizio maggio in occasione di un'altra breve capatina in Toscana.
  1. Partecipare ad una festa dove pensavamo di non conoscere nessuno e ritrovarsi con un amico zonzolone peggio di noi e stare a chiacchierare di viaggi scambiandoci dritte ed esperienze.
  2. Momenti di autoironia (per non piangere): i miei meravigliosi e straordinariamente perfetti macarons. ;-) Ebbene, sono al terzo tentativo fallito mannaggia, il risultato è sempre una serie di ciofeche sgonfie e piatte. Eppure la serendipity sta nel fatto che sono buonissimi comunque e vanno a ruba! :-)
  3. Preparare con mamma una bella e buona crostata per la colazione della mattina.
  4. Pausa con caffè e una ciambellina fritta appena pronta e ancora calda fumante. 'Na delizia assurda!
  5. Passeggiare fra i viali alberati vicino a casa mia in Toscana. In questi momenti faccio come le loro chiome: tocco il cielo anche io. :-)
  6. Cercare un nastrino colorato per un vestito e ritrovarsi in una gigantesca merceria in vecchio stile, di quelle che pensavo non esistessero nemmeno più. Rimanere a bocca aperta come una bambina davanti ad un muro di soli bottoni (non so se si colgono le proporzioni).
  7. Pisa, Piazza dei Miracoli e il fascino che ha questo luogo ogni volta che ci passo. E non è che ci sono passata due volte eh!

Metà maggio, ecco dove si piazza più o meno la Serendipity Box n° 91.
  1. I temaki di tonno ed avocado, ne vogliamo parlare? Su di me creano dipendenza.
  2. Propongo una petizione per caffè con la panna montata free refill per tutti! Che poi non so voi ma io mi fisso ad osservare i disegni che la panna fa mentre si scioglie nel caffè. Cose folli, lo so.
  3. Intripparmi per le trecce a spighe di grano.
  4. Quando le forze mancano ci pensano dolci e macedonie a tirarti su.
  5. Il diritto di votare anche se purtroppo sempre il meno peggio, ma anche il dovere civico e morale di farlo. (Immagine presa dal Web)
  6. Gedeone di guardia nel suo harem. Non vi dico come concia le proprie pollastrelle sulla schiena, porette. Tutte spennate a vivo da tanto che è cruento. Praticamente un assatanato.
  7. Cronache di cene preparate in due minuti e di sperimentazioni riuscite. Crostoni di pane come se piovessero.
In ordine sparso un weekend sul Lago di Iseo e la primavera che incalza nella Serendipity Box n° 92:
  1. La colazione del campione, perché è proprio vero che chi ben comincia è a metà dell'opera (o della gara).
  2. Arrivano le ciliegie e noi ne abbiamo fatto incetta. Non sono nemmeno riuscita a farci qualche ricetta, tutte spazzolate una dietro l'altra.
  3. Il cappuccino di perlustrazione pre-gara.
  4. Dopo una lunga passeggiata, il cappuccino di attesa all'arrivo del mio ironman mentre come un mantra mi ripeto per tutto il tempo "Vai Massi! Vai Massi! Vai..."
  5. I saltimbocca alla romana in preparazione. Pregustare solo con gli occhi il pranzo sfizioso che sarà.
  6. Il Lago di Iseo, un altro angolo di mondo stupendo che finalmente ho conosciuto e che ho impresso nella memoria.
  7. Il mio ironman al traguardo mentre si rifocilla con buone dosi di potassio con le mani (il resto non ne parliamo) ancora tutte sporche di terra e erba per via della gara. Se non mi struggono queste scene non saprei dire che altro. Ah, sì... quando varca il traguardo. :-)
Infine la Serendipity Box n° 93, fatta come sempre d'amore: fra persone, per il cibo e per i gelati! ;-)
  1. Il matrimonio di una cara amica. Piccole donne sono cresciute. :-)
  2. I fiori della lavanda, il loro stupendo colore e magnifico profumo.
  3. Assaggiare finalmente i Casunziei bresciani! Evviva!
  4. Il rosmarino, una delle spezie che sicuramente si merita un posto sul podio delle mie preferenze.
  5. Uno della serie, uno in rappresentanza di non so quanti altri perché altrimenti mi ci vorrebbero venti serendipity per immortalare tutti quelli che mi sono mangiata. Oddio quanto mi piace!
  6. E mi sono piaciute un sacco pure queste mousse: al lampone e al tiramisù. Troppo golosa sono! Troppo!

L'aforisma degli ultimi giorni è la strofa di una poesia:
"Se io avessi una botteguccia
fatta di una sola stanza
vorrei mettermi a vendere
sai cosa? La speranza."
(Gianni Rodari, Speranza)


Non ho una bottega ma un pizzico di speranza con queste piccole box spero di regalarla.
Buona vita a tutti! Alla prossima! :-)


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