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Dlin-dlon: momento di autoincensazione, lasciatemelo fare! Me lo merito!

The perfect japanese cheesecake?
Udite, udite! Ora posso dirlo: ho la ricetta!

Dopo un'infinità di prove davvero fantastiche nel gusto, ma ciofeche nella forma, tentativi su tentativi tanto che ho rischiato di fare harakiri in cucina un'infinità di volte, proprio non riuscivo ad ottenere il dolce perfetto: la consistenza ed il sapore erano perfetti, ma l'aspetto era sempre una delusione.

Non mi davo pace. Ne ho provate di tutte. La ricetta che si trovava sul Web (quella che va per la maggiore) risultava perfetta nel gusto, ma nella preparazione proprio non funzionava. E diciamocela tutta, e potrei attirarmi una valanga di polemiche, ma mica ho tanto chiaro come sia riuscita anche ad altri senza citarne il minimo problema. Ma lasciamo perdere. That's none of my business.
Quello che invece mi interessa è il mio risultato. Ora, siccome qui non si pubblica finché non si è provato e riprovato fino a che non si è soddisfatti, allora non l'ho mai fatto e ho continuato a provare. Non ho desistito e alla fine posso dire di aver vinto io. Tiè!

Al tempo del Signor Mohs non esistevo ancora, altrimenti avrebbe dovuto rivedere la sua famigerata scala in fatto di durezza e mettere la mia capoccia cocciuta al primo posto al posto del diamante.

La mia storia con questa torta, l'avrete capito, è di lunga data e alquanto travagliata. Per la cronaca ve la narro qua sotto con i dettagli sui fallimenti, che sono sempre utili da sapere per non replicarli. Qualora non vi interessasse né la storia, né gli errori potete andare direttamente alla ricetta, tanto li ho riassunti anche lì.
Sappiate però che a) vista cotanta ricetta donata al prossimo, b) visto il parto che ne è stato per la riuscita perfetta, e c) che stimo di aver piazzato almeno tre chili, un ciuffo di capelli bianchi e detto addio alla taglia 42, se leggerete pure la storia non potrò che essere contenta. E se non la leggerete almeno sentiatevi un pochetto in colpa, ecco.

Japanese soufflé cheesecake ricetta passo per passo recipe

Tutto ebbe inizio così.

C'era una volta uno dei miei dieci (no, dico 10!) nipoti che un bel giorno mi chiese: "Zia, facciamo quella torta buonissima?"
Ai nipotini non sapevo mai dire di no e gongolavo quando mi chiedevano di preparare qualcosa. Il problema era capire quale fosse "quella torta", visto che ne sfornavo un giorno sì e l'altro pure.
Alla mia domanda "quale torta?", lui rispose: "Quella che g'ha el nome come 'na roba strana, forèst. (N.d.R.: straniero in dialetto trentino) Ma me'l som desmentegà. Però l'era propi bona!"

E te pareva! Tanto ce n'è uno di dolce buono. Uhm, nome difficile e straniero...
"Sacher? Muffin? Crêpes? Cheesecake? Pancakes? Gaufres? Waffles? Brownies? Cupcakes? Pie?"
Ma niente, il nome non gli ricordava niente.
Dopo un interrogatorio degno del commissario Maigret in cui chiesi colore, sapore, grandezza, decorazioni, giorno in cui l'aveva assaggiata ecc. emerse che non conteneva né cioccolato, né marmellata, era alta, soffice e senza decorazioni.
Con queste informazioni restrinsi il campo ad una dozzina di dolci. Presi le vecchie foto delle torte dall'archivio e gliele misi davanti per l'identificazione del dolce del reato.

Il nipotino golosone non ebbe un attimo di esitazione. E' lei!
Era la Japanese Cheesecake.
Non un pan di Spagna, né una torta asciutta che impasta la bocca, ma un dolce umido la cui leggerezza e morbidezza sono una leggenda, tanto che è anche conosciuto come "Cotton japanese cheesecake", o "Soufflé cheesecake". Ecco il nome con il quale gliela avevo presentata.

Preparai il dolce per la seconda volta in vita mia seguendo passo passo la ricetta che si trovava su vari siti Web. In cottura lievitava straordinariamente, quasi troppo, ma sempre dopo un'ora e passa di cottura si sgonfiava, si ritirava e tornava quasi al livello di quando lo avevo infornato, ma con la superficie brutta e rugosa. Il gusto era buonissimo, per cui nessuno si lamentava, ma io non ero soddisfatta.

Nei tentativi successivi (ne conto ormai più di una dozzina) provai a cambiare gli ingredienti, le proporzioni, cercai su siti inglesi (anche giapponesi ma vai a tradurli te quei simboli!) per paura di errate conversioni sui sistemi di misura, cambiai il metodo di montaggio e assemblaggio degli ingredienti, ma niente. Ogni volta che andava in forno lievitava che era una bellezza e poi anche se calavo la temperatura gradatamente dopo un'ora lei tornava sempre giù (come nella foto qui). E il mio morale la seguiva di pari passo.

Online vedevo foto di questa cheesecake che mi parevano perfette e non mi capacitavo del perché a me proprio non riuscisse. Fino a che un giorno ho trovato questo sito qua, in inglese, dove Leslie (il blogger) raccontava le sue problematiche (che erano identiche alle mie) spiegandone le motivazioni e come risolverle scientificamente. Scoprii che i miei problemi erano il tempo e il modo di cottura.

Io, che oramai non sapevo più a che Santo votarmi, dovevo credere nell'unica cosa che funziona sempre: la scienza. Studiai per un'ora e mezza (in più puntate) tutto il lunghissimo post che questo ragazzo aveva pubblicato, con tutte le meticolose spiegazioni scientifiche del perché la preparazione di quella ricetta tanto utilizzata non poteva funzionare con le indicazioni che avevo seguito fino a quel momento.

Deo Scientia gratias! Ma allora non ero io che sbagliavo, era la preparazione sbagliata! Ma allora gli altri come avevano fatto? Ah... questo non lo sapevo, ma a quel punto non mi restava che provare il metodo del buon caro Leslie.

Ennesima spesa, ennesimi ingredienti, ennesima preparazione fino al momento in forno. Già qui vidi subito la differenza: non cresceva più esageratamente. Ero comunque preoccupata: poco dopo lo spegnimento del forno ero già pronta all'ennesima delusione, all'ennesimo cupolotto imploso, e invece no. L'ho lasciata lì per due ore e incredula tornavo a vederla per appurare se era ancora così come l'avevo lasciata. Non ci credevo. Aveva funzionato.

Non ho mai fatto storie a chi voleva una fetta di un dolce appena sfornato prima di fare le foto, ma stavolta no. Dovevo immortalare il successo. Ce l'avevo fatta. E ora è giunto il momento di condividere cotanta bontà ed esperienza.
Una sola raccomandazione: seguire assolutamente passo passo tutti i passaggi!

Japanese soufflé cheesecake

Preparazione: 20 min.Cottura: 30 min.Riposo: 4-5 ore
Porzioni: 10 Kcal/porzione: 275 circa
Ingredienti:

  • 6 uova
  • 140 g di zucchero
  • 250 g di formaggio spalmabile tipo Philadelphia
  • 60 g di farina 00
  • 20 g di amido di mais
  • 100 ml di panna fresca (o latte intero)
  • 60 g di burro
  • ½ cucchiaino di cremor tartaro (o lievito per dolci)
  • 1 pizzico di sale
Aromi opzionali:
  • 1 cucchiaino di succo di limone
  • Scorza grattugiata di mezzo limone biologico non trattato
  • Semi di un baccello di vaniglia (o 1 cucchiaino di estratto)
Preparazione:

Da seguire meticolosamente passo passo.
  1. Preriscaldare il forno in modalità statica (caldo sotto e sopra) a 200 °C.
  2. Ungere con del burro una teglia di alluminio del ø 20 cm e dai bordi alti almeno 6-7 cm. Cospargerla con un velo di farina¹.
  3. In una ciotola a bagnomaria sciogliere completamente il formaggio.
  4. Unire poco alla volta i 6 tuorli e mescolare.
  5. Aggiungere metà dello zucchero (70 g quindi) e mescolare.
  6. In un recipiente scaldare al microonde la panna (o latte) e il burro e poi unirlo al composto. Mescolare.
  7. Unire gli eventuali aromi scelti e il pizzico di sale che servirà ad esaltare il dolce.
  8. Togliere la ciotola dal bagnomaria e unire le farine setacciate. Amalgamare perfettamente.
  9. In una ciotola a parte iniziare a montare con le fruste a bassa velocità gli albumi.
  10. Unire il cremor tartaro (o il lievito) e poi montare alla massima velocità.
  11. Aggiungere gradualmente il restante zucchero (70 g). Montare sino a che fermando le fruste e sollevandole non si formano delle punte di meringa lunghe 6-7 cm. Non devono essere montati a neve ferma.
  12. Unire i bianchi al composto di formaggio (che dovrebbe avere una temperatura intorno ai 40-max 50 °C) un terzo alla volta. Mescolare dal basso verso l'alto cercando di non smontare troppo il tutto.
  13. Versare il composto nella teglia e, tenendola per i bordi, sbatterla delicatamente sul piano di lavoro per far affiorare eventuali bolle d'aria.
  14. Infornare a bagnomaria sul ripiano più basso per 17-18 minuti a 200 °C, poi abbassare la temperatura a 160 °C e cuocere per altri 12-13 minuti, dopodiché spegnere il forno².
  15. Non aprire il forno. Lasciare la torta all'interno per almeno 30 minuti (meglio ancora 1 ora) poi aprire di poco il forno e attendere altri 10 minuti.³
  16. Tirarla fuori e lasciarla raffreddare completamente4 prima di servirla.
Note:

  1. Se si vuole utilizzare carta forno è bene utilizzarla solo per il fondo. Si può utilizzare anche sui bordi per timore che nella lievitazione in forno il dolce possa fuoriuscire, ma tenere presente che poi potrebbero formarsi delle increspature laterali.
  2. Io facevo tutto correttamente fino a questo passaggio, ma sbagliavo la cottura prolungandola fino ad un'ora o più. Il risultato era una iper lievitazione (inutile) del dolce e poi con il brusco calo di temperatura avevo l'afflosciamento.
  3. Attenzione ai bruschi cali di temperatura, sono la causa dell'afflosciamento del dolce.
  4. E' normale se il dolce si abbassa di 1-1,5 cm durante il raffreddamento.
  • Il controllo della temperatura è fondamentale per la buona riuscita di questo dolce. E' bene utilizzare teglie in alluminio o con colori chiari poiché quelle scure assorbono calore più in fretta. Se la temperatura di cottura è troppo elevata il dolce tenderà a creparsi sulla sommità, se troppo bassa non lieviterà. Se il tempo di cottura è troppo lungo il dolce lieviterà molto ma poi imploderà, se troppo corto resterà più umido nella parte inferiore e saranno visibili gli strati di cottura.
  • Io la conservo in frigo e trovo che fredda sia deliziosa.
Indicazioni tratte dal post di Leslie Tay del blog "I eat, I shoot, I post".
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Non sarà ancora come questo qui del maestro Yamashita, ma oramai ci sono vicinissima! :-)

E se la provate e non venisse proprio perfetta, non demordete. Se invece vi riuscisse al primo tentativo, ecco scrivetemelo, così... tanto per farmi rodere il fegato. ;-) E mandatemi la foto, sarei contentissima di inserirla nella rubrica YourTurn #zonzoricette. :-)


La prima volta che ho sentito parlare del gomasio è stata tre anni fa da Elena di ComidaDeMama. Non avevo ancora aperto questo blog mentre lei era già una veterana del Web; la subissavo di domande sulla cucina, sulle ricette, su piatti veloci da preparare quando arrivano ospiti all'improvviso e lei sempre carinissima mi rispondeva appassionandomi sempre di più. Se ho deciso di aprire questo piccolo angolo è stato sicuramente anche grazie a lei e alle sue preziosissime dritte.

Un giorno Elena è entrata in ufficio da me e mi ha regalato uno splendido set per preparare questo condimento giapponese, che tanto mi aveva incuriosita, composto da un suribachi e un surikogi. Non spenderò tante parole per spiegare cosa sono, vi rimando direttamente al suo bellissimo post dove è tutto spiegato con cura e con bellissime foto. Il link è questo qui.

Gomasio ricetta con semi di sesamo con suribachi e surikogi preparazione insaporitore alimenti giapponese

In sostanza preparo il gomasio con il procedimento indicato da Elena (che riporto brevemente qui sotto per comodità) con semi di sesamo biologici e sale nelle proporzioni che riporto qui sotto.

Gomasio

Preparazione: 15 min.Cottura: 10 min.Riposo: nessuno
Porzioni: - Kcal/100 g: 620 circa
Ingredienti:

  • Semi di sesamo
  • Sale grosso
Preparazione:

  1. Far tostare i semi di sesamo in una padella antiaderente o in forno facendo attenzione a non farli bruciare; un buon metodo per non abbrustolirli è toglierli appena si sentono i primi scoppiettii. Il profumo dei semi tostati per me è magnifico.
  2. Lasciarli raffreddare leggermente e poi pesarli (si può fare anche prima, non cambia niente). Generalmente faccio un rapporto 1:10 ossia 10 parti di sesamo e 1 parte di sale.
  3. Pestare sale e semi di sesamo con il suribachi e il surikogi e poi invasare in un barattolo ben pulito e conservare il gomasio in un luogo asciutto, fresco e possibilmente al buio.
Note:

  • Si conserva un bel po' anche se a lungo andare perde un pochino del suo buon sapore.
  • In mancanza di un buon pestello si può prepararlo anche con il mixer. Io ho provato in entrambi i modi e devo dire che non sento particolarmente la differenza. Io però non sono sicuramente un'estimatrice e c'è chi dice che la differenza si sente eccome. Insomma dipende un po' dal tempo a disposizione e dalla voglia di mettersi a pestare.
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Eccomi qua (nel periodo "ho voglia di pestare, meglio che pesto il gomasio!") mentre me ne preparo una bella scorta che utilizzerò per le prossime insalate.


Eh già, dimenticavo proprio la cosa più importate: come e dove si usa il gomasio?
Il gomasio si usa per condire insalate, per condire il riso bollito, verdure cotte ecc. Io lo trovo straordinario sui fagiolini e pomodori. E' buonissimo anche accompagnato da qualche goccia di salsa di soia.

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