Enjoy food, travels and life

Oggi vorrei sfatare un mito: quello sulle fortune gastronomiche che il mio Massi avrebbe grazie a me.
Nell'immaginario di molti infatti appare alquanto vantaggioso avere una moros moglie (imparerò mai?) che ha un blog, che ama cucinare e sperimentare, e che gli propina ogni genere di leccornia ad ogni pasto.
Non solo non è sempre così, ma quand'anche fosse non è tutt'oro quello che luccica e questi aspetti positivi portano anche qualche inconveniente. Del resto ogni medaglia ha il suo rovescio, no?
Al mio maritino è infatti richiesta una gran pazienza e talvolta arrivare a tavola può essere alquanto frustrante.
Mi riferisco in particolare a quando mi metto in testa che voglio fotografare una ricetta per poi pubblicarla.
Non tanto perché se la ricetta è complessa e non collaudata la cavia se la deve sorbire declinata in X versioni fino a che non me ne esco con la ricetta che ritengo più azzeccata.
Non tanto perché se la ricetta è semplice allora rischia di non vedersela preparare più perché mi metto a sperimentare tutt'altro.
Ma soprattutto perché non può toccare o assaggiare niente: "...perché c'è prima da fare la foto. Lo so!"
Massi nei weekend c'è abituato e spesso quindi chiede, salvo qualche caso clamoroso, se può assaggiare, se ho già fatto le foto, se può spazzolare tutto.

E che sarà mai aspettare un attimo per due foto si potrebbe pensare?
Uhm... vediamo giusto un esempio tanto per rendere l'idea.
Ora immaginate che vi siate alzati prima delle sette di sabato mattina, abbiate fatto una bella colazione (con questi biscotti integrali e un bel cappuccino), siate andati a lavorare nell'orto o ad allenarvi per la prossima gara che a confronto una maratona pare una passeggiatina col cane, non abbiate fatto alcuno spuntino, sia l'ora di pranzo, varcate la soglia di casa con una fame che vi sta dilaniando le interiora e respirate a pieni polmoni i profumi più celestiali, arrivate in cucina che vi sbranereste la qualunque e una tizia vi minaccia di non toccare niente perché "ha da fare le foto".
Ci scappa l'assalto alla diligenza, o no?
Al che di solito parte la mia perenne guerra con il tempo e con l'astuzia.
Generalmente gli faccio trovare qualcosa che gli plachi i morsi della fame, faccio la foto nel più breve tempo possibile, sia per non far raffreddare il piatto, che per sfamare il poveretto che mi sta accanto sbavando a più non posso.

Biscotti lingue di gatto ricetta - Cat's tongue cookie recipe - langues de chats recette

Con queste lingue di gatto è stato più o meno così.
La ricetta era collaudata da tempo, per cui le avevo fatte a colpo sicuro poco prima di Natale. Le avevo fotografate al buio delle giornate corte ed erano venute una ciofeca e così questo weekend mi sono rimessa all'opera, anche perché mi piacciono tanto e le volevo pubblicare.
Nella stessa mattinata il mio Massi era uscito a bruciare le 8000 kcal suddette (esattamente all'opposto di me che in cucina avevo spiluccato a gogò) e rientrando in casa affamato all'impossibile aveva sentito il profumo di questi biscotti.
La sua sorpresa è stata duplice, sia perché come spesso sa, se la ricetta è collaudata è raro che la rifaccia nel giro di poco tempo (soprattutto se dolce), sia perché non si aspettava di trovare il profumo dei biscotti varcata la soglia.
Ha visto il set per cui non ha nemmeno dovuto chiedere se dovevo ancora fare le foto. Sapeva che non lo avrei accontentato.
Essendo un dolce e il pranzo praticamente pronto avrebbe potuto tranquillamente sgranocchiare qualcosa, farsi una doccia (così io avrei intanto fatto le foto) e poi mettersi a tavola e mangiare.
Ma avevo sottovalutato il potere del profumo delle lingue di gatto, che oramai aveva invaso la casa e rapito la sua mente.
Dal canto mio non c'erano scuse, le lingue di gatto s'avevano da fotografà! Lui aveva cibo, io un obiettivo nel doppio senso del termine.
Il furbetto però è riuscito a sfoderare la più grande arma che un uomo possa avere nei confronti di una donna: la tenerezza. O compassione, pietà, commiserazione, chiamatela come volete.
Mettetevi nei miei panni: il mio Massi sudato e visibilmente stanco morto, un broncio per la delusione (che attore!), la testa un po' piegata in giù, l'occhietto che ti guarda dal basso e un lamentoso "Ma io li voglio..."
E niente.
Più che breccia lo definirei squarcio.
Scacco matto.

Ce n'erano tanti di pronti, più di quelli necessari per fare le foto.
Io non ho detto niente, ma mi sa che il mio viso impietosito ha parlato per me. Lui ha capito che aveva fatto bingo e ha detto "Non ti preoccupare, prendo i più brutti", ed è partito con una manciata di lingue di gatto verso la doccia.
-_-

Lingue di gatto

Preparazione: 15 min.Cottura: 10 min.Riposo: nessuno
Porzioni: 75-80 circa Kcal/porzione: 25 circa
Ingredienti:

  • 120 g di albumi (circa 4)
  • 120 g di farina 00
  • 120 g di zucchero a velo
  • 120 g di burro
  • ½ cucchiaino di estratto di vaniglia (facoltativo)
Preparazione:

  1. Preriscaldare il forno a 220 °C in modalità ventilata, preparare un sac à poche con bocchetta tonda e liscia con ø 0,8 cm, e due teglie da forno rivestite con carta da forno.
  2. Pesare prima di tutto gli albumi¹ e poi regolarsi di conseguenza con tutti gli altri ingredienti, poiché devono avere lo stesso peso.
  3. In un'altra ciotola sbattere con delle fruste il burro con lo zucchero a velo fino ad ottenere una pomata chiara e liscia.
  4. Unire l'estratto di vaniglia se desiderato e poi gli albumi e la farina mescolando dal basso verso l'alto.
  5. Trasferire l'impasto nel sac à poche e formare sulle teglie tanti bastoncini² di circa 5 cm di lunghezza e ben distanziati fra loro (4 cm almeno).
  6. Infornare una teglia alla volta (per controllare meglio la cottura) per circa 7-9 minuti. Il tempo di cottura dipende dal forno di casa e occorre sorvegliare i biscotti perché tendono a brunirsi molto in fretta. Saranno pronti quando avranno un color nocciola sui bordi³, mentre l'interno dovrà rimanere chiaro.
  7. Una volta pronti lasciarli raffreddare completamente e consumarli, oppure conservarli in barattoli ben ermetici perché risentono molto dell'umidità.
Note:

  1. Gli albumi sono l'ingrediente di riferimento su cui basare tutti gli altri dosaggi. Il concetto è molto semplice: tutti gli ingredienti devono avere lo stesso peso degli albumi. Se avessimo quindi 112 g di albumi peseremo 112 g per tutti gli altri ingredienti.
  2. Si possono anche ottenere dei biscotti di forma tonda o a spirale. Per quelli tondi basta formare un cerchio di impasto largo un paio di cm o poco più, mentre per le spirali occorre utilizzare una bocchetta con ø 0,5 cm e formare dei bastoncini lunghi 15 cm circa. In questo caso a cottura ultimata, appena il biscotto è uscito ancora caldo, prelevarlo delicatamente dalla teglia e arrotolarlo sul manico di un mestolo di legno. Lasciarlo raffreddare e poi staccarlo delicatamente.
  3. Qualora il forno ventilato non cuocesse uniformemente, girare la teglia in modo che il biscotto prenda colore su tutti i bordi.
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"I più brutti", come li ha chiamati lui erano i biscotti che avevo messo da parte rispetto a tutti gli altri perché avevano un bordo rovinato perché in cottura li avevo distanziati troppo poco e per questo si erano attaccati uno all'altro, oppure perché leggermente più dorati perché il mio forno non cuoce in maniera perfettamente uniforme.
Tutti buoni comunque, tant'è che il mio furbetto finite le foto se li è spazzolati.

E checché se ne dica... anche le titolari di blog (che il termine foodblogger mi sa che non mi si addice) hanno il loro bel daffare. Altro che!


Quando Alessandro, studente universitario che durante gli studi di web marketing ha deciso di creare un sito per provare a mettere in pratica quanto studiato, mi ha contattata per propormi di pubblicare un post interamente dedicato all'ESTA ho pensato che era davvero una buona idea.
Per chi ancora non lo sapesse l’ESTA è un documento che consente di recarsi negli Stati Uniti senza dover richiedere un visto.
Alessandro ha riepilogato tutti i passaggi per ottenerlo e ha persino realizzato un'infografica riepilogativa.
Potevo non pubblicare un post tanto utile? No è!
Ecco qua sotto il suo guest post:

Chi guardando un film o una serie TV americana non ha mai desiderato fare un viaggio negli States?
Fin da piccolo, oltre a voler giocare a calcio in ogni momento, ho sempre amato viaggiare. Sono sempre stato affascinato dai grattacieli, e crescendo in particolare da New York e dalle ambientazioni dei film di Woody Allen. Credo che gli Stati Uniti oggi siano un po’ come l’impero romano al tempo dei romani, quindi non appena ne avrò la possibilità farò un bel viaggio negli USA, che per chiunque ami viaggiare rappresentano una tappa obbligatoria.

Per poter fare un viaggio turistico negli Stati Uniti però è necessario essere in possesso di un’autorizzazione rilasciata dal Governo degli Stati Uniti: l’ESTA.
Dal 2009 infatti per potersi imbarcare su un aereo o su una nave diretti negli USA è necessario essere in possesso di un ESTA, acronimo di Electronic System for Travel Authorization, il sistema elettronico per l’autorizzazione al viaggio. Grazie all’ESTA è possibile fare un viaggio negli Stati Uniti senza dover richiedere un visto: l’ESTA infatti fa parte del Visa Waiver Program, il programma di viaggio senza visto del Governo degli Stati Uniti.

È possibile usufruire del Visa Waiver Program solamente se si soddisfano le seguenti richieste:
  1. lo scopo del viaggio dev’essere turismo o affari;
  2. la durata dev’essere inferiore a 90 giorni;
  3. il passaporto dev'essere elettronico e in corso di validità. Mentre fino a poco tempo fa era possibile usufruire anche di altri tipi di passaporto, dal primo aprile 2016 l’unico accettato è quello elettronico, dotato di un microchip inserito nella copertina. Lo scopo del microchip è di consentire agli agenti di sicurezza statunitensi di verificare l’identità del viaggiatore attraverso la foto e le impronte digitali che esso contiene. Il passaporto elettronico è facilmente riconoscibile dal logo sulla parte bassa della copertina.
  4. avere la cittadinanza italiana o di uno dei 38 Paesi che fanno parte del Visa Waiver Program.
Se non si soddisfano queste richieste l’ESTA verrà negata, e per poter entrare nel Paese sarà necessario richiedere un visto.

L’autorizzazione al viaggio va richiesta sul sito ufficiale del Governo statunitense compilando il modulo online. Per la compilazione del modulo è necessario avere a portata di mano il passaporto e una carta di credito.
Il costo dell’ESTA è di 14 dollari, da pagare alla fine della compilazione del modulo con una carta di credito.

Terminata la procedura ed effettuato il pagamento sarà necessario attendere la risposta: nella maggior parte dei casi si riceve l’autorizzazione approvata in pochi minuti, ma in alcuni casi è possibile che siano richiesti maggiori controlli ed è garantita una risposta entro le 72 ore. Per questo motivo il Governo degli Stati Uniti consiglia di fare richiesta almeno 72 ore prima del viaggio, in modo da evitare spiacevoli inconvenienti.
Nel caso in cui l’autorizzazione venga negata per poter accedere al territorio statunitense sarà necessario ottenere un visto, per cui è sempre meglio richiedere l’autorizzazione nel momento in cui si decide di effettuare il viaggio.

L’autorizzazione ha una durata di due anni durante i quali l'ESTA è riutilizzabile per altri viaggi negli States, purché si rispettino sempre le condizioni imposte dal Visa Waiver Program. Qualora durante questi due anni il passaporto perdesse la sua validità, al decorrere della data di scadenza perderà di validità anche l’ESTA.

Una volta sbarcati nel Paese sarà sufficiente superare l’ultimo controllo dell’agente di sicurezza e potrete godervi il vostro viaggio negli Stati Uniti.


Adesso che grazie ad Alessandro sapete tutto sull'ESTA non resta che richiederla e poi partire!

A me non resta che augurare di cuore ad Alessandro di poter intraprendere il viaggio (zonzolata) dei suoi sogni negli States, fargli un grande in bocca al lupo per i suoi studi e ringraziarlo infinitamente per questo prezioso post.
A presto!


Uno dei grandi sogni nel cassetto che avevamo (quant'è bello parlare al passato) era quello di zonzolare all'Isola di Pasqua.
Ne avevamo sentito parlare fin da piccoli, l'avevamo vista raccontare in TV in un sacco di programmi turistici e naturalistici, l'avevamo immaginata come uno dei luoghi più sperduti, ricchi di fascino (e così si è rivelata per davvero) e mistero sulla faccia della nostra meravigliosa Terra.
Una meta lontanissima insomma, di cui probabilmente avremmo ancora solo sentito parlare, per dirla in una parola sola: inarrivabile.
Ma la vita a volte sa davvero stupirci.
Il sogno, che sembrava poter rimanere tale per sempre, è invece diventato improvvisamente realtà.
E siamo felicissimi di potervene parlare in questo post (ça va sans dire lunghissimo e da prendere in pillole), sperando che per altri sognatori si realizzi questo sogno e che qualche cosa di quello che è scritto qua sotto sia utile per godere del viaggio al meglio.

Isola di pasqua racconti e consigli di viaggio, misteri isola sperduta oceano - Easter island what to see and eat, lost island's mystery, travel world

I veri misteri dell'Isola di Pasqua

Prima di raccontare cosa abbiamo fatto e dare qualche informazione sul viaggio bisogna fare il punto sui misteri che aleggiano su quest'isola.
Contrariamente a quanto si possa pensare comunemente i veri misteri non sono la presenza e il significato di queste mastodontiche sculture chiamate Moai, né la lingua non ancora ben decifrata utilizzata dai nativi dell'isola, né tantomeno come si possa arrivare, o vivere, nell'estremo isolamento fisico di questa isola nell'Oceano Pacifico.
I veri misteri sono ben altri e noi ne abbiamo creata una piccola classifica: la Zonzolando's top 3 dei misteri dell'Isola di Pasqua.

Al 3° posto: Ma quanto mangiano questi pasquensi?
Perché davvero ci siamo chiesti come possano sopravvivere così tanti negozi di alimentari con così pochi abitanti (poco più di cinquemila).
Nel minuscolo paesino di mille anime dove viviamo ne abbiamo solo uno, e a malapena riesce a sopravvivere.
Passi che la popolazione con il turismo cresce notevolmente, ma la concentrazione è davvero incredibile.
Consiglio: occhio ai prezzi. Lungo la via principale di Hanga Roa sono generalmente più alti, ma non per la stessa categoria di prodotto, per cui un bel giretto panoramico per risparmiare su questo o quello fa sempre bene.

Si posiziona al 2° posto un mistero che è l'esatto opposto del punto precedente, ossia: di cosa si nutrono i cani?
Una piccola parentesi prima di spiegare il mistero va fatta.
Qui i cani sono completamente liberi, al pari di cavalli e galline. Tutti gli animali possono scorrazzare liberi più o meno ovunque.
Nessuno porta i cani al guinzaglio; camminano liberamente per strada e per chi come noi non è abituato a vedere animali tenuti così può essere anche un pochino preoccupante, soprattutto perché si avvicinano senza il minimo timore dell'uomo.
Ce ne sono molti in giro che formano dei veri e propri branchi che spesso sono litigiosi fra loro, forse per questioni territoriali o di gerarchia.
A volte può capitare di vederseli trotterellare incontro per prendersi qualche carezza, altre volte vedersene correre incontro uno o più di uno con fare tutt'altro che docile, e ringhiare o abbaiare. In realtà nel 99% dei casi sta puntando qualche altro suo consimile alle spalle dell'uomo o vicino ad esso, per cui le intenzioni non sono cattive, ma la cosa -non leggendo nella mente del cane- non è mai piacevole.
All'inizio c'è un po' da farsela sotto, ma poi ci si fa l'abitudine. Chiusa la parentesi.
Tornando al mistero, la cosa incredibile è che nonostante tutta questa densità canina è più facile pestare una cacca passeggiando in Italia che sull'Isola di Pasqua.
Quindi il mistero è duplice: o i cani non fanno la cacca, oppure hanno un sistema di occultamento portentoso che dovremmo importare anche da noi.
Consiglio: la migliore strategia per stare tranquilli è fare come se non ci fossero. Lo sappiamo che è difficile, soprattutto se sono coccoloni, ma evitarli è la migliore strategia per essere evitati e venire circondati. Se siete padroni di cani e vi state chiedendo se portare o no il vostro amico a quattro zampe sull'isola, beh... anche no.

Siamo giunti alla medaglia d'oro per il mistero più grande su questa isola.
Al 1° posto svetta il mistero per cui non siamo riusciti a darci una spiegazione, né a farcene una ragione. Il nostro stupore è stato direttamente proporzionale a quanto ha rosicato il nostro fegato.
Come diamine è possibile che, in un'isola la cui terra ferma più vicina si trova a 3600 km di distanza (e se non avete idea di quanto siano 3600 km pensate che è quasi come andare da Milano a Capo Nord), la benzina costi meno che in Italia? No, dico: come è possibile? Co-me?
Abbiamo noleggiato un piccolo fuoristrada per le nostre escursioni fuori città e siamo rimasti stupefatti quando:
a) abbiamo scoperto che non esiste alcuna assicurazione per le auto, né per danni ad auto, cose, persone, oppure Kasko eccetera. Nada de nada;
b) abbiamo trovato le condizioni di certe strade, che ci aspettavamo sconnesse, migliori che in certe zone d'Italia (Trentino a parte... vabbè lì non c'è storia :-) );
c) il nostro mezzo ha consumato relativamente poco;
d) abbiamo fatto rifornimento pagando la benzina meno che in Italia.
C'è scappata la lacrimuccia.
Consiglio: farmaco antiulcera in valigia e a portata di mano. Perché fa male, molto male.


Il vaso di Pandora: la valigia

Ma andiamo con ordine e facciamo un po' il quadro di cosa serve per affrontare un viaggio del genere.
Come sempre la valigia deve contenere vestiario utile un po' per tutte le situazioni e la soluzione di vestirsi a strati dà sempre buoni frutti.
L'Isola di Pasqua ha un clima subtropicale con uno sbalzo termico fra le varie stagioni quasi nullo. Le temperature sono in linea generale piacevoli e si aggirano intorno ai 20 °C. Non sono infrequenti le classiche piogge tropicali, brevi ma di intensità ragguardevole, che si alternano a momenti di sole "che spacca". L'isola inoltre è spesso battuta da venti tant'è che il surf è uno degli sport più praticati.
Noi ci siamo trovati molto bene portando delle giacchine impermeabili, veline antivento messe accanto a pantaloncini corti e magliette e a dei bei costumi per prendere il sole, ma non per fare il bagno perché l'acqua è veramente gelata (a meno che non siate dei surfisti temerari con delle belle mute in neoprene).
Se ci pensate bene in valigia queste cose occupano veramente poco spazio.
Tenendo conto che sull'isola ci sono negozi in cui poter comprare tutto quello che serve, non occorre portare con sé 180 kg di bagaglio. Partite sereni con quel che ritenete utile e se manca qualcosa il modo per rimediare sull'isola si trova sempre. E' isolata sì, ma non selvaggia.
Ad ogni modo in valigia non dovrebbero mancare: impermeabili, veline antivento, creme solari e occhiali da sole perché il sole cuoce, antiulcere per il costo della benzina ;-), torcia sia per le grotte, che se vi ritrovate la sera in qualche via mal illuminata (cosa non infrequente).


Safe and sound e mo'?

Una volta atterrati su quest'isola incantevole, selvaggia e davvero unica nel suo genere, che in lingua locale si chiama Rapa Nui, ossia "grande roccia", bisogna ricordarsi di mettere a posto l'orologio.
Noi arrivando da Tahiti (cinque ore di volo) abbiamo portato in avanti le lancette di 4 ore, mentre il fuso orario rispetto all'Italia è -6 ore.
Già l'aeroporto Mataveri, che si trova a due passi (letteralmente) da Hanga Roa, la principale città dell'isola, sebbene sia minuscolo, ha due dettagli che lo rendono speciale:
a) al contrario dell'aerostazione passeggeri, la pista di atterraggio è lunghissima. La cosa non è affatto casuale visto che questa lunga fascia di asfalto è stata appositamente progettata e finanziata dalla NASA per poter essere utilizzata dagli Space Shuttle in caso di emergenza.
b) la torre di controllo è l'edificio più alto sull'isola!

Per ritirare i bagagli e abbandonare l'aeroporto ci abbiamo messo un sacco. I controlli di sicurezza sono stati molti, lenti e la flemma del personale (che comunque è stato gentilissimo) è stata angosciante.
Bisogna ricordarsi di dichiarare tutto il dichiarabile. A noi hanno aperto la valigia per due volte, una per ogni controllo (mai successo altrove), controllando sacchetti, cibi inscatolati o confezionati (che possono passare al contrario di semi, cibi sfusi ecc.), nonostante che avessimo dichiarato tutto e fossimo in regola.
Per il pernottamento ci siamo arrangiati con un piccolo hotel appena fuori dal centro (che se lo dicessi a Milano sarebbe a quattro chilometri, mentre ad Hanga Roa distava a soli dieci minuti di camminata). E' stata la prima volta in vita nostra che ci è capitato di andare dall'aeroporto all'hotel (esclusi quelli di sosta di scambio) direttamente a piedi. Incredibile!

Le maggior parte delle strutture alberghiere è molto semplice e modesta, ma si trovano anche hotel di lusso con ogni comfort.
Noi dormivamo in una piccola casetta indipendente, tipo bungalow. La struttura era molto spartana, abbastanza pulita e con bagno privato. Il Wi-Fi, che veniva garantito al momento della prenotazione (optional che ci aveva fatto optare per questa sistemazione), si è rivelato una connessione a singhiozzo lentissima, per lo più assente.
Peccato che ci trovassimo in giro per il mondo da venti giorni in posti sempre isolati, con la nostra famiglia che ci aveva sentito praticamente solo per messaggio e ore di volo e di check-out aeroportuali alle spalle senza dar notizia di noi. Per fortuna che siamo riusciti a risolvere con la connessione di qualche bar o ristorante in città a cui ci siamo attaccati disperatamente per dire alla nostra famiglia che eravamo sani e salvi.
Perché lo sappiamo che per le nostre mamme potevamo essere già sepolti in qualche pezzo di terra qua sotto. (Cimitero di Hanga Roa)


C'è sempre un biglietto da pagare...

Una cosa importante che occorre sapere quando si zonzola all'Isola di Pasqua è che ci si trova in un parco naturale. E' l'isola stessa un parco naturale per cui occorre pagare il biglietto di ingresso. Un tempo il biglietto costava 50 $ (americani), ma abbiamo appurato che il prezzo aumenta ogni anno e noi siamo arrivati a pagarne 80 $ a testa.
L'acquisto del biglietto del parco non è obbligatorio se si rimane in città, ma non appena ci si sposta per i siti sull'isola il biglietto viene sempre richiesto, per cui (visto che si è lì a posta) consigliamo vivamente di acquistarlo per non incappare in sanzioni spiacevoli.
Nel parco ci si può muovere autonomamente salvo che nel versante ovest, ma visto che ci siamo trovati molto bene, consigliamo di prenotare qualche tour con guida. Il prezzo sicuramente sarà maggiore di quello che si pagherebbe ad andare da soli con il solo noleggio dell'auto, ma permette di approfondire la storia e la cultura del luogo grazie alle spiegazioni della guida, non si rischia di perdersi per cercare i vari siti e si può anche fare amicizia con altri turisti sul posto.

Il pomeriggio stesso del nostro arrivo siamo andati alla ricerca del tour che più faceva al caso nostro, prenotando per la mattina del giorno successivo.
I biglietti di ingresso al parco li abbiamo comprati invece la mattina successiva, ossia quella del nostro primo tour, nell'apposito ufficio in centro (senza non saremmo nemmeno potuti partire). Ci era stato detto che l'ufficio avrebbe aperto alle 8:30, ma gli orari sono moooolto flessibili e lasciati alla discrezionalità dei dipendenti. Morale della favola: siamo riusciti a comprarli appena in tempo prima che il pulmino e la guida ci lasciassero a piedi.
Le lingue più gettonate per i tour sono in genere l'inglese e lo spagnolo, ma alcuni tour offrono anche altre opzioni. A seconda della lingua e del tour operator vengono definiti gli orari delle visite.
La nostra guida era un ragazzo molto in gamba che prima in spagnolo e poi in inglese spiegava i siti, la storia e le tradizioni delle civiltà che hanno popolato l'isola.


Mo'-hai rotto!

Il primo sito che abbiamo visitato è stato il Ranu Raraku che si trova a circa 18 km da Hanga Roa.
Durante il tragitto la guida, oltre ad averci fatto una panoramica della storia e della cultura delle civiltà che popolavano l'isola, ci ha spiegato che saremmo dovuti rimanere sui sentieri (sempre ben delineati) e che sull'isola è severamente vietato toccare le statue o salire sulle piattaforme.
Ranu Raraku rappresentava la principale cava dell'isola da cui venivano estratti e scolpiti i Moai, statue alte fra i 2,5 e i 10 metri (uno arriva a 21 metri!).
Esse dovevano rappresentare delle "fotografie in pietra" dei vari re. L'ipotesi più accreditata per cui si trovano abbandonate così alla rinfusa e sparse ovunque è probabilmente riconducibile al fatto che venissero scartate perché difettose o non di gradimento ai regnanti, oppure perché accidentalmente cadute.
Tutte le statue complete e finite infatti venivano posizionate in fila su delle piattaforme chiamate Ahu.
La cosa interessante di questa cava è che si possono vedere ancora oggi i vari stadi della lavorazione delle pietre, poiché alcuni moai sono ancora incastrati nelle rocce e scolpiti solo parzialmente.
Le teste venivano scolpite nella roccia vulcanica partendo dalla faccia sempre rivolta all'insù. Poi si procedeva a staccarle e trasportarle su tronchi, in piedi e non sdraiati, sino al sito della piattaforma, generalmente vicino alla costa e rivolti con la faccia verso l'entroterra per proteggere la terra e coloro che l'abitavano. Una volta issati altre squadre di operai procedevano a rifinirli nel dettaglio.

Il luogo è veramente unico e interessante, inoltre regala salendo per la collina dei panorami unici.
All'ingresso della cava, in corrispondenza della biglietteria sono presenti i servizi igienici, un piccolo ristoro e un mercatino dove comprare prodotti artigianali e souvenir.


Il mistero del corpo tra bufala e verità

Uno dei misteri che si sente nominare spesso è che questi moai abbiamo un corpo nascosto nella terra. La guida ci ha spiegato che era molto frequente che i moai venissero rappresentati con un corpo, anzi praticamente tutti ce l'hanno.
Il fatto che questo si trovi per lo più interrato non è derivante da qualche motivazione religiosa, misteriosa o particolare. Semplicemente queste teste, essendo fatte di una pietra porosa e vulcanica piuttosto facile da scolpire (tipo tufo), a forza di imbibirsi per le piogge, sono lentamente affondate nel terreno fino a far affondare il corpo o anche più e quindi a comparire come li vediamo oggi.
Sì, a volte la spiegazione al mistero è molto semplice e molto poco romantica. Ma così è.

Il mistero è presto svelato quando ci si reca al secondo spettacolare sito, l'Ahu Tongariki.
Qui in origine pare che fossero posizionate diciotto statue con corpo e cappello (pukao). Durante le guerre civili che vennero combattute sull'isola le statue vennero fatte cadere in segno di ribellione contro i regnanti. Inoltre uno tsunami provocò ulteriori danni. Negli ultimi anni squadre di restauratori finanziati in parte da benefattori e dalla pubblica amministrazione hanno fatto sì che molti siti venissero recuperati e alcune statue rimesse in piedi al loro posto.
Ad oggi in questo sito sono presenti quindici statue, di cui solo una con il cappello (che pare sia stato messo addirittura per errore e non corrisponda a quello della statua che lo portava bensì ad un'altra). I pukai delle varie statue sono in fila per terra a pochi metri dalla piattaforma.
Le statue venivano rifinite nel dettaglio una volta posizionate sulla piattaforma. I loro dorsi sono ricchi di incisioni nella lingua locale, il Rongorongo, idioma che ad oggi non risulta ancora ben decifrato e tradotto. Secondo alcune ipotesi pare che le iscrizioni riportino il nome dell'artista o del regnante che dovevano raffigurare.
Sebbene infatti che ad una prima occhiata possano apparire tutte uguali, le statue una volta sul posto si rivelano molto differenti. Tutte hanno la classica espressione seria e fiera, le orecchie lunghe, le labbra serrate e il mento alzato, ma si differenziano per altezza, caratteristiche del fisico, del volto e anche per ricchezza di dettagli.


Il complesso di Michelangelo

Pare incredibile pensare che queste statue, secondo le cinque barra sei dinastie che si sono susseguite (a seconda delle correnti di pensiero e ipotesi dei ricercatori), si vadano a collocare solo fra l'XI e il XVI secolo d.C. circa. Già dal 1500 circa si iniziarono ad abbattere quelle esistenti e Cook fu testimone degli ultimi moai rimasti eretti, che rimasero abbattuti poi fino ai giorni nostri.
Se nessuno ci avesse spiegato, se non ci fossimo mai documentati e ci fossimo basati sulla pura deduzione e intuito, avremmo pensato che risalissero all'epoca di Cristo o anche prima.
Se fate caso anche nella sigla di Big Bang Theory vengono posizionate temporalmente addirittura prima degli egizi, ma questo assolutamente non è così.
Questo errore, che viene comunemente commesso, deriva probabilmente dal non concepire il gap culturale che esisteva fra noi e queste civiltà a parità di periodo storico. Viene spontaneo allineare questa civiltà a qualcosa di ben più remoto che sei, massimo dieci secoli fa.
Per noi, che in Italia avevamo Michelangelo Buonarroti che scolpiva la Pietà o il David, pensare che dall'altra parte del mondo si avesse una tale "arretratezza" (passatemi il termine senza malevolenza) artistica, è difficile da realizzare nell'immediato.
Eppure così era.
Ma ce li vedreste la Pietà e il David qui?
No, noi proprio no.
Questo posto è magico e magnifico proprio per queste statue rustiche, fiere e imperscrutabili: è unico.
E' davvero unico.


Da uomo roccia a uomo uccello

Due dei siti più gettonati sono il Vulcano Rano e il Villaggio di Orongo.
Entrambi si possono raggiungere sia a piedi che in macchina. Noi siamo andati con il nostro mini fuoristrada noleggiato, ma nel caso in cui siate interessati al percorso di trekking è bene sapere che il sentiero è lungo circa sedici chilometri. Visto che in cima non si trova proprio niente, salvo che un piccolo museo e un gran vento consigliamo di portarsi viveri, acqua e una giacchetta antivento (o qualcosa che ripari dalle correnti d'aria).
Una volta in cima il giro richiede al massimo un'oretta e si possono vedere: a) uno dei panorami più belli dell'isola verso l'oceano blu, b) il villaggio di Orongo, una serie di casette infossate nel terreno fatte di sassi e pietre, c) ammirare la spettacolare bocca del vulcano Rano all'interno del quale si è formato un lago paludoso.

Nel sito dedicato a Orongo viene spiegato quello che si è riusciti a capire circa il mito dell'uomo uccello.
In pratica, come scritto "poc'anzi" dal 1500 i moai non vennero più eretti e il loro culto cessò.
Per qualche ragione prese piede il culto dell'Uomo uccello (Tangata manu), che era un essere fatto per metà uomo e per metà uccello.
Ogni primavera i guerrieri scelti a rappresentare le varie tribù dell'isola dovevano partire dal santuario di Orongo, tuffarsi dalla scogliera a picco sul mare del vulcano Rano Kao, sperare che nessuno squalo che infesta queste acque se li mangiasse vivi, nuotare fino a Motu Nui (faraglione nell'ultima foto della serie qua sotto), arrampicarsi e raccogliere il primo uovo deposto dalla Sterna fuscata e infine consegnarlo al Gran Sacerdote.
Al vincitore veniva assegnato il titolo di uomo uccello per un anno intero, ossia fino alla primavera successiva quando la competizione si ripeteva.


Isola di Pasqua o Caraibi?

Un possibile dubbio che potrebbe assalirvi quando vi troverete fra questa incantevole spiaggia bianchissima e le acque cristalline del piccolo golfo di Anakena è se siate stati catapultati improvvisamente ai Caraibi.
Alcuni tour si fermano sapientemente per una tappa rilassante a fine giornata, e alcuni turisti decidono persino di non tornare con il pulmino pur di prolungare la sosta, prendere il sole e fare il bagno. Sì, il bagno, pare che qui l'acqua essendo molto bassa riesca a raggiungere una temperatura gradevole e quindi ideale per immergersi e nuotare.
Appena prima della spiaggia una distesa di prato verde e altissime palme ospita tavolini e panche in cui poter fare un picnic e rilassarsi. Ci sono anche delle bancarelle per i mercatini, un paio di locali dove mangiare e un negozio per comprare materiale per la spiaggia e lo snorkeling.
Per chi non è ancora stufo di vedere moai, si può visitare anche un'altro sito chiamato Ahu nau nau, in cui sette statue con i loro cappelli pukao vegliano eretti l'entroterra.


Qua e là...

Altri siti che abbiamo avuto modo di visitare sono stati le grotte di Ana Kakenga in cui si deve scendere con molta attenzione e se ci si vuole addentrare un po' è meglio portarsi una torcia.

L'Ahu Te Pito Kura, una pietra magnetica completamente levigata e tonda venerata per i suoi poteri magici.
Qui le bussole analogiche pare che impazziscano; mentre quelle di cellulari e orologi digitali non risentono del minimo effetto.

Il sito di Ahu a Kiwi, dove è presente un'altra serie di moai su una piattaforma.


Mo'-hai fame?

Ok, la smettiamo con questi titoletti ironici... tanto è quasi finito il post. (Alleluia! direte)
Dicevamo... Come in ogni località turistica i luoghi dove rifocillarsi sono molti ed Hanga Roa non è da meno.
Non sempre gli ambienti e la cucina rispettano il nostro senso della pulizia e dell'igiene, ma ci sono posti che sono curati e che durante il nostro soggiorno ci sono parsi carini e dignitosi.
Se si vuole rimanere su un budget limitato il piatto che va per la maggiore sono le empanadas, "calzoni" di pasta cotti al forno (per noi i più buoni) o fritti, ripieni generalmente di formaggio e tonno, formaggio e funghi, formaggio e prosciutto, formaggio e polpo (s'è capito che ai pasquensi piace il formaggio?), oppure di "pino" (da non confondere con la piña che è l'ananas) ossia il tipico ripieno cileno a base di carne, uova sode, olive e salse non ben identificate segreto della casa.

Per chi vuole provare altre specialità e alzare anche un pochino il budget, si possono provare piatti a base di pesce con salse di accompagnamento agrodolci, ceviche (tartare o semplicemente trito grossolano di pesce crudo, molluschi e altro marinati nel succo di limone e conditi con spezie varie), insalate di polpo e verdure locali.
Veramente tutto squisito.
Un paio di locali durante il nostro soggiorno offrivano anche cene a buffet a prezzo fisso, maggiorato di una quota per poter assistere ad uno spettacolo serale fatto di canti e balli locali.


Cosa ci siamo portati a casa?

Da questa zonzolata da sogno portiamo a casa ovviamente un sacco di ricordi di vita vissuta, ma anche splendidi orizzonti e panorami, l'aver potuto vedere dal vivo i giganteschi moai, averne potuto portare uno piccolo a casa come souvenir, le auto senza assicurazione, il fatto di sentirsi sicuri perché non esiste la criminalità, l'assenza di animali pericolosi, le prime empanadas "cilene" assaggiate, gli ananas-stecco che ci siamo mangiati sbrodolandoci tutti (c'è un corso universitario ad Hanga Roa proprio sull'antisbrodolamento, cui segue un dottorato e un master specifico), i ratti che ci correvano dentro le pareti in legno della casa e nel contro soffitto al crepuscolo, le prodezze dei surfisti nell'acqua gelata, i cocktail e il pisco, l'incredibile oceano blu, la quasi assenza di piante, i turisti che provavano a portare a casa carote ancora interrate in valigia, le valigie lasciate incustodite in aeroporto e ritrovate senza problemi, la disponibilità e onestà impagabile delle persone, l'aeroporto raggiungibile a piedi e... e abbiamo lasciato là un pezzo di cuore.



Chi segue fedelmente Zonzolando si sarà accorto che ultimamente la situazione langue in fatto di ricette e di racconti di viaggio, ma va alla grande con le serendipity box.
Se qualcuno sperava in qualche nuovo post culinario o zonzoloso, ahimè devo dire che probabilmente dovrà attendere un po'. In cantiere ci sono un paio di post energivori che richiedono tempo e il fatto di riesumare qualche ricetta polverosa nell'archivio giusto per pubblicare qualcosa non mi va.
Ogni cosa a suo tempo.
E al momento il tempo viene speso per un sacco di altre attività che vanno oltre al blog.
In sostanza da quando è arrivata la bella stagione siamo usciti dal letargo invernale, abbiamo abbandonato i social (se già prima l'attività era assai scarsa, ora è proprio assente), non battiamo più le nostre dita su PC e cellulari e stiamo vivendo a più non posso i giorni primaverili, spremendo dalle belle giornate ogni momento di pace, sole e tempo libero. Stiamo rimpinzando le nostre giornate di eventi, incontri, assaggi, bellissimi momenti di vita vissuta in coppia o con amici. Sono tanto stanca quanto soddisfatta e felice.
Se mi ricordo di fotografare è solo perché sento il bisogno di immortalare l'attimo per sempre in questo diario.
No quindi a selfie che richiedono tre ore perché non si viene mai bene come si vorrebbe, no a pubblicazioni su social cercando le parole giuste, no al perdere più del tempo necessario per immortalare il momento, perché bisogna goderlo, lì all'istante.
Un clic... e poi ritornare a vivere il presente con i propri occhi.
E' così che, grazie a questo esercizio del buon umore, le brutte notizie o brutti momenti -che ci sono sempre eh, mica che vivo nel paese dei balocchi- diventano piccini, passano in secondo piano ottenendo la giusta attenzione che meritano: l'indifferenza.

Benvenuti quindi, ancora una volta, al nuovo appuntamento con la "Zonzolando's Serendipity Box", la scatola che serve a ricordare i piccoli grandi piaceri della vita cogliendo il meglio di ciò che ci offre.

Troppo spesso infatti le nostre giornate sono riempite di pensieri e preoccupazioni tendendo a dimenticare il bello che nella vita c'è (sempre!). Con questa scatola voglio immortalare, se non tutto, gran parte delle cose belle che riempiono la mia/nostra vita quotidiana (ma che potrebbe essere anche quella di tutti), dalle grandi alle piccole cose che ci rendono felici e, ancora meglio, sereni.

Riprendo il racconto dall'ultima box pubblicata e proseguo con la Serendipity Box n° 160:
  1. Non capivamo il senso del foglietto fino a che non l'ho tirato su. Anche i messaggi volanti fanno sorridere.
  2. Scoprire in città, zonzolando proprio a casaccio, nuovi graziosi angoletti di cui ignoravamo l'esistenza.
  3. I migliori regali sono sempre quelli che non ti aspetti. E che profumo!
  4. I giretti in moto mettono fame e nonostante che fossimo a due passi da casa ci siamo fermati a bere qualcosa e, con l'occasione, a scambiare quattro chiacchiere con gli amici.
  5. La pizza, quella con il cornicione morbido proprio come piace a me. Deliziosa, digeribile, rara, e cara impestata mannaggia!
  6. Prove tecniche, assaggi, scelte di combinazioni e accostamenti. E' un duro lavoro ma qualcuno lo deve pur fare. Di un buono da pau-ra!
  7. Io, lui, due spritz, qualche stuzzichino e poi anche se non si vedono c'erano tante idee e progetti su quel tavolo. :-)
  8. L'attesa del film, le poltroncine comode, il cinema che ogni tanto ci sta.

Addii e arrivederci nella Serendipity Box n° 161:
  1. Frotte di zonzolini pronti a partire con il primo alito di vento. Addii alla pianta che li ha ospitati per andare a mettere radici da un'altra parte. Amo il tarassaco in tutte le sue declinazioni, dalla cucina, alla metafora su viaggi e vita.
  2. Cornetti caldi, paste e bomboloni: e la giornata prende un'altra piega.
  3. Le bellissime parole del messaggio lasciato da una ex-collega al momento di lasciarci.
  4. Ciliegie, l'oro rosso di maggio e giugno. Che delizia!
  5. Il suo padrone alfa lavora e lui non lo perde di vista un attimo. Se non sono amore e fedeltà questi...
  6. Nastri, nastrini, etichette, organza, vasi, cartoncini, spaghi: ho temuto di non farcela, di aver fatto una follia, ma alla fine dopo solo centonovantaquattromiladuecentosette ore di lavoro vedo la fine. Le bomboniere sono quasi pronte.
  7. L'evasione: totale, liberatoria. Dopo una giornata di lavoro decidere di farsi un picnic in montagna dopo una bella passeggiata rigenerante. La foto fa schifo e non si vede niente, ma in quei panini c'erano finocchiona e crema di carciofi. Roba che se non ci pensa la montagna a farti toccare il cielo con un dito, ci pensava la cena.
  8. Peonie selvatiche: la natura è davvero meravigliosa.
  9. Aprire la cassetta delle lettere e trovare un cilindretto rosso indirizzato a noi. Il piacere e la commozione leggendo il messaggio. Abbiamo amici stupendi! Ma forse dovrei aspettare a scriverlo vero? ;-)

Zonzolate alla scoperta di posti incantevoli nella Serendipity Box n° 162:
  1. Eravamo tre amici al bar... Che volevano zonzolare il mondo!
  2. I giri in moto, zonzolare con amici, scoprire luoghi fantastici e gli auricolari (che invenzione!).
  3. A volte sono le piccole cose che fanno la differenza, i piccoli dettagli a regalare pace e serenità. Queste finestre mi piacevano un sacco e mi facevano questo effetto.
  4. Ecco un posto fantastico! Si chiama Magasa ed è un minuscolo paesino in provincia di Brescia. Se vi capita di farci una capatina ci sono un sacco di zonzolate a piedi da poter fare.
  5. Assaggiare per la prima volta (io per ste cose mi emoziono sempre un po') i casoncelli bresciani in tre versioni. Tanto unti quanto buoni.
  6. I panorami delle montagne. Guardare all'orizzonte (poter guardare l'orizzonte, fateci caso) e rimanere incantati.
  7. Le cascate, il rumore che fanno, l'acqua limpida e io che adesso voglio assolutamente provare il canyoning.
  8. Il gelato. Punto.

L'aforisma degli ultimi giorni trascorsi è:
"Una volta che hai viaggiato, il viaggio non finisce mai, ma si ripete infinite volte negli angoli più silenziosi della mente.”
(Pat Conroy)


E nel caso in cui la mia mente facesse cilecca ecco che queste serendipity mi serviranno a ricordare questi bei momenti e altrettanti correlati. Vorrei che i miei viaggi non finissero mai.
Tante zonzolate e tanti momenti di serendipity a tutti!


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