Enjoy food, travels and life

Non sono una da panini, da pranzi a morsi o "agglomerati multipiano" che fatico ad addentare.
Non è una questione di gusti, né di snobbare il cibo fast food, è piuttosto la modalità del gesto, del come si affronta il pasto. Non so spiegare esattamente il motivo, ma raramente fra un hamburger e patatine fritte o un piatto di tortelli sceglierei di buttarmi sulla prima opzione.
Sottolineo raramente perché ogni tanto mi prendono le voglie.
Mi viene voglia di qualcosa di succoso, ricco, saporito: un paninazzo che deborda da tutti i lati mentre lo si addenta, che ti unge le dita e che ti fa rimpiangere che cotante calorie siano già finite in pochi bocconi.

Il blog sicuramente se ne è accorto visto che ho preparato burger di tonno e una collezione di croques: monsieur, madame, suisse, a cui adesso si aggiunge anche questo delizioso e succulento croque norvégien.

Panino con salmone affumicato e spinaci croque norvegien ricetta smoked salmon and spinach sandwich recipe

Ho trovato ben poche informazioni su questo sandwich se non che debba avere come componente imprescindibile l'impiego del salmone fresco o affumicato che sia. La mia nota personale è stata quella di aggiungere un po' di spinaci passati nel burro, che fanno bene e che col salmone fanno un bel connubio, il resto è praticamente standard.

Croque norvégien

Preparazione: 10 min.Cottura: 15 min.Riposo: nessuno
Porzioni: 4 Kcal/porzione: 500 circa
Ingredienti:

  • 140 g di Gruyère
  • 8 fette di pane in cassetta integrale
  • 2 hg di salmone selvaggio affumicato a fette
  • 250 g di besciamella
  • 200 g di spinaci lessati strizzati
  • 20 g di burro
  • 2 spicchi d'aglio
  • Sale q.b.
Preparazione:

  1. Schiacciare gli agli e metterli a imbiondire in una padella col burro. Unire gli spinaci lessati, tritati e strizzati e far saltare il tutto per 5 minuti.
  2. Grattugiare il Gruyère grossolanamente.
  3. Tostare leggermente il pane in un tostapane. Disporre le fette su una leccarda ricoperta con carta forno e spalmare un cucchiaio di besciamella su quattro di esse.
  4. Spolverizzare con un po' di Gruyère, adagiare uno strato di spinaci e poi una fetta di salmone. Coprire con un cucchiaio di besciamella e un'altra spolverizzata di formaggio.
  5. Chiudere il sandwich con l'altra fetta di pane, spalmare sulla superficie un cucchiaio di besciamella, adagiare un'altra fetta di salmone e ricoprire con altra besciamella e una spolverizzata di Gruyère grattugiato.
  6. Infornare sotto il grill a 200 °C per circa 5 minuti, fino a che non si scioglierà bene il formaggio e si formerà una leggera crosticina in superficie.
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L'ho servito con una misticanza leggera condita con olio, sale e pepe.
Un'interessante variante all'impiego della besciamella è la crème fraîche, che si sa che col salmone va a nozze. Inoltre un ciuffetto di aneto per decorare ci sta benissimo (io purtroppo non lo avevo).


Che poi a guardarlo bene dopo tutti i fritti unti e bisunti che circolano in questi giorni nella blogosfera che festeggia il carnevale, a me, il mio paninazzo mi pare quasi pure light. ;-)
Enjoy!


Un post lungo, anzi lunghissimo. Da leggere a puntate tanto che è corposo, ma ricco di tante cose buone e spero consigli utili.

Frutto del pessimo risultato della combinazione del poco tempo a disposizione e delle tante cose da raccontare, ci ho messo un bel po' per prepararlo. Ora che ha stagionato per bene nella cartella "bozze" di questo blog, è pronto per essere finalmente pubblicato.

Dovete sapere che alcune fra le domande più frequenti che ci sono state rivolte al nostro ritorno inerenti la cucina inglese sono state: "In Inghilterra come si mangia?", "E' vero che si mangia male?", "La cucina inglese fa schifo vero?"
No, assolutamente no, abbiamo sempre risposto. La cucina inglese tipica è buona, sono gli inglesi che secondo noi invece mangiano male, o meglio ancora adorano il buon cibo, ma non hanno nessuna voglia di sbattersi per prepararselo.

La cucina inglese è infatti ricca di piatti gustosi e saporiti, forse un po' troppo calorici, ma del resto siamo in un altro clima e con materie prime fortemente diverse dalle nostre. Un difetto che ho trovato è la monotonia, ossia il più delle ricette prevede l'utilizzo di patate (fritte o in purea), piselli, carne e salse. Ma potrebbe non dire la stessa cosa uno straniero della nostra cucina a base di pasta e pane? Questioni di abitudini evidentemente.

Prima di partire mi ero un po' informata sui piatti tipici della tradizione che avrei potuto trovare in Inghilterra e ne sono rimasta:
  • molto entusiasta quando ho visto che il numero era davvero consistente,
  • alquanto stupita quando ho scoperto che la lista prevedeva piatti di origine indiana come il chicken tikka masala;
  • un po' delusa quando ho realizzato che non avrei potuto ragionevolmente assaggiare tutto, a meno di scoppiare o stare là per un anno. (Che poi diciamocela tutta, mica mi sarebbe dispiaciuto.)
Al che mi sono fatta una lista delle cose che avrei preferito assaggiare e una volta a York con il mio inseparabile compagno di scorpacciate e assaggi Massimiliano, siamo andati alla ricerca di questi piatti.

I primi giorni, avendo una pausa pranzo molto ridotta e tanta voglia di esplorare la città abbiamo optato per l'opzione più diffusa anche per gli indigeni del luogo, ossia il take-away. Incredibile ma vero moltissimi piatti inglesi si prestano bene per questa modalità. Ce lo vedete qualcuno in Italia che passeggia con un piatto di spaghetti al pomodoro?
Noi abbiamo voluto assaggiare subito gli scones, massicci paninozzi generalmente arricchiti con uvetta e/o formaggio, accompagnati con jacket potatoes al burro servite con insalata, o pollo. Semplici ma gustosi.


Riassumendo:
Periodo: ottobre 2014
Dove: The Cornish Bakery, 6 Coney St - York (UK)
Pregi: servizio gentile, camerieri simpaticissimi, prezzi bassi.
Difetti: locale con pochi posti a sedere e un po' angusto. Servizio un po' lento soprattutto nelle ore di punta: la flemma nel taglio della cipolla è da vedere. ;-) L'occhiolino che ha fatto la commessa al mio Massi.


Una delle prime sere l'abbiamo passata a zonzolare fra i vicoletti del bellissimo centro. Per caso ci siamo imbattuti in una combinazione edificio-ristorante per noi a dir poco inconsueta: uno dei palazzi più storici di York, di quelli classici con legni e travi imbarcate ai limiti del collasso, ospitava un ristorante cinese affollatissimo. L'interno era piccolo, tipico e molto carino, dalle due sale al piano superiore si godeva una bella vista sul viavai in strada.


Qui abbiamo gustato le immancabili nuvole di drago, sweet and sour chicken (pollo in agrodolce) accompagnato con riso, chicken udon noodle soup (minestra di spaghetti e pollo con verdure) e per finire un buon tè (inglese) con latte e biscottini, che spesso viene offerto a fine pasto e che noi abbiamo preso per imitare i nostri vicini di tavolo UK al 100%.

Riassumendo:
Periodo: ottobre 2014
Dove: Happy Valley Chinese, 70 Goodramgate - York (UK)
Pregi: interni caratteristici, buone porzioni, discreto rapporto qualità/prezzo.
Difetti: tavoli davvero troppo ravvicinati tanto che la nostra mimetizzazione da tè post cena è stata subito smascherata dai nostri vicini 100% UK che ci hanno chiesto da quale parte d'Italia arrivassimo, in italiano! :-0


In un bel weekend soleggiato, approfittando della bella giornata, abbiamo esplorato la città con un gruppo di amici. La pausa pranzo, dopo un bel po' di tentennamenti sulla scelta del posto, l'abbiamo passata in questo locale qua sotto, dove sotto suggerimento abbiamo scelto alcuni piatti che effettivamente si sono rivelati molto buoni e saporiti, anche se belli sostanziosi e un pochino pesanti.


Il primo piatto è la Homemade pie of the day: una torta salata ripiena di carni bianche, funghi e salse varie; il secondo piatto è il Giant Yorkshire pudding filled with steak: un enorme Yorkshire pudding (letto come si scrive e non "iorkshair padding") ripieno con tenero spezzatino al sugo.

Riassumendo:
Periodo: ottobre 2014
Dove: Michael's Brasserie, 54 Low Petergate - York (UK)
Pregi: bel locale in pieno centro, luminoso, raffinato e dai prezzi abbordabili.
Difetti: il menù alla parete che purtroppo obbliga i lettori a stare a ridosso di alcuni tavoli occupati, i prezzi folli dell'acqua.


Uno dei locali più gettonati dal nostro gruppo di amici a York è stato il The Three Tuns. Ci ritrovavamo ogni tanto qui tutti insieme per festeggiare un compleanno o semplicemente bere una birra a fine giornata. Si tratta comunque di un bel locale dove poter gustare un bel po' di piatti locali, come un bel pezzo di fish and chips con purea di piselli, accompagnati da una ampia scelta di birre.


Dopo una lunga riflessione su ciò che il menù proponeva, vista la mia marcata astinenza da verdure, ho optato per il Ploughman's Platter, e Massimiliano per un semplice ma veramente gustoso hamburger con patatine fritte.


Riassumendo:
Periodo: novembre 2014
Dove: The Three Tuns, 12 Coppergate - York (UK)
Pregi: locale tipico, prezzi abbordabili.
Difetti: interni un po' troppo bui, fritto del fish and chips da infarto.


La cultura arricchisce, ma talvolta mette proprio fame. Appena usciti da una full immersion nel York Castle Museum e oltrepassata la Clifford's Tower ci è venuto un buco allo stomaco pazzesco. Non avevamo realizzato che il giro ci avesse richiesto così tanto tempo, segno che ci era proprio piaciuto, e così siamo andati diretti in questo locale quasi per caso, perché era a portata di mano.


Entrambi abbiamo optato per una colazione all'inglese in versioni Full english breakfast e Veggie, preceduta dall'immancabile tè. Entrambe erano buonissime. Per me è stata una bella sorpresa poter assaggiare il black pudding, tipico salume a base di sangue di maiale impastato con avena e spezie. Al contrario di Massimiliano a me è piaciuto e mi sono mangiata pure la sua parte. Se non si pensa a ciò che è in realtà ma si prova a concentrarsi sul vero gusto, credo proprio che potrebbe piacere a molti. Io sono stata felicissima di aver depennato un altro piatto dal lungo elenco di prodotti tipici che volevo provare e ancora più felice nel scoprire che mi sia piaciuto.

Riassumendo:
Periodo: novembre 2014
Dove: 31 Castelgate Restaurant/Bistro, 31 Castelgate - York (UK)
Pregi: uno dei nostri locali preferiti. L'interno è molto raffinato, il servizio è preciso puntuale, i piatti curati anche nella presentazione e il prezzo è del tutto onesto.
Difetti: al momento non mi viene in mente niente.


Tanto per restare in tema "attacchi di fame" ecco un ottimo locale dove abbiamo cenato abbondantemente e senza spendere una follia. Si tratta di un locale che permette sia di scegliere i piatti da un menù che approfittare del buffet in cui le diverse carni sono servite in stile rosticceria ("carver").


Il Carver plate è quindi un piatto unico composto da una selezione di carni (più tipi si scelgono più si paga) servite al taglio dall'inserviente sotto indicazione del cliente e poi arricchite a scelta con salse e verdure di vario genere a self-service.

Riassumendo:
Periodo: ottobre 2014
Dove: Russell's Restaurant, 26 Coppergate - York (UK)
Pregi: tenere e succose le carni, buon rapporto qualità/prezzo, locale curato anche se retrò.
Difetti: servizio un po' lento al bancone, non piacevole (anche se è andata bene, ma che sia un caso?) lasciare giacche e zaini al tavolo mentre si è in coda per essere serviti.


Senz'altro incuriositi dalla lunga fila che usciva persino dalla porta di ingresso di questo locale, abbiamo deciso di provare anche noi quello che questa rosticceria aveva da offrire. Indipendentemente se si mangiava all'interno al piano superiore che se si portava via il pasto, il tutto veniva comunque servito in box da take-away.


Quello in foto è un "mappazzone" (per citare Bruno Barbieri) di Pork Yorkshire Pudding accompagnato con verdure cotte fra cui le onnipresenti patate.

Riassumendo:
Periodo: novembre 2014
Dove: The York Roast Co, 4 Stonegate - York (UK)
Pregi: saletta piccola ma accogliente, carni buone e succose.
Difetti: non avere il minimo servizio di coperto.


Sicuramente il posto perfetto per grandi abbuffate e grandi stomaci è il ristorante qua sotto. Si tratta di un locale in cui ci siamo recati sotto segnalazione della mia padrona di casa. Mi aveva detto che avrei assaggiato un sacco di cucine di tutto il mondo, fra cui anche il famigerato pollo "indo-uk-eniano". Piatto ricco mi ci ficco, e così abbiamo fatto una capatina anche qui.


Il locale prevedeva un menù a prezzo fisso con modalità buffet, ossia sinché non si era sazi si poteva continuare a mangiare sempre per la stessa cifra. Le cucine proposte erano veramente tante: dalla italiana, indiana, messicana, araba eccetera. I prezzi si differenziavano semplicemente per giorni feriali e festivi e per pranzo o cena. I festivi e le cene costavano circa il doppio ma anche i piatti serviti erano molti di più rispetto al giorno. Ciò che abbiamo mangiato era piuttosto buono, soprattutto in relazione a questa tipologia di ristorazione che di solito pecca un po' in qualità.

Riassumendo:
Periodo: novembre 2014
Dove: Cosmo Restaurant, 19 Bridge Street - York (UK)
Pregi: poter assaggiare e saltare da una cucina etnica all'altra tutto nello stesso luogo. Prezzi contenuti nei giorni feriali all'ora di pranzo.
Difetti: locale piuttosto buio, possibilità di cibo contaminato per via della modalità buffet.


Dopo take-away, cucine familiari, jacket potatoes a gogò il mio Massi ha deciso che dovevamo sperimentare anche qualcosina di più ricercato. Ha deciso di portarmi a cena in un locale di cui aveva letto e sentito parlare bene.


A lume di candela siamo stati coccolati dall'antipasto al dolce. Dopo averci servito il pane con il burro salato e quello aromatizzato alle erbe, abbiamo assaggiato insalata con pancetta croccante, crostini e uovo in camicia e una zuppa di cipolle con crostini gratinati.
Siamo poi passati a uno strepitoso filetto di merluzzo con gamberoni serviti su salsa Mornay e formaggio fuso (che era una roba di una bontà spaziale), e agnello ripieno di datteri e noci con salsa al vino rosso e menta. Entrambi sono stati serviti con le verdure che vedete in foto.


Infine come dolci abbiamo optato per un tipico Tipsy trifle, una coppa di lamponi liquorosi alternati a strati di torta tipo pan di Spagna e panna, e un alquanto favoloso Sticky Toffee Pudding.

Riassumendo:
Periodo: novembre 2014
Dove: The Go Down Restaurant, 15 Clifford Street - York (UK)
Pregi: servizio gentile, conveniente il menù a prezzo fisso con due o tre portate, l'acqua.
Difetti: locale piccolo, forse non adatto a gruppi numerosi; prezzi elevati nel menù à la carte.


Una piccola follia abbiamo deciso di farla in una famosa tea room, quella di Betty's. In città ci sono due locali per altro molto vicini fra loro, ma molto lontani in termini di struttura che li ospita. Il più famoso e turistico è quello anche più grande, ha vetrate enormi ed è in pieno centro. Il secondo è in un vicoletto vicino, in un piccolo e tipico palazzo fuso fra altri attigui e ospita i clienti al primo piano; il locale in questo caso è più intimo e rilassato. Noi abbiamo optato per quello meno turistico, perché in una zonzolata ci siamo imbattuti nel gestore del locale che, incredibile, è italiana. Rina, una simpatica ragazza dall'accento romano ci ha deliziato con i suoi racconti di vita UK una mattina presto mentre stavamo leggendo il menù fuori dall'ingresso. Il locale era ancora chiuso e lei stava aprendo ai fornitori. Siamo stati per un bel po' a chiacchierare e così abbiamo deciso di tornare a trovarla per salutarla prima del nostro rientro in Italia.


Quello in foto (tranne l'immagine al centro in alto) era ciò che ci è stato servito dopo aver ordinato il Betty's Traditional Afternoon Tea. Il macaron alle mandorle era uno dei migliori che io abbia mai mangiato e Rina ci ha detto che le mandorle arrivavano direttamente dalla Sicilia.

Riassumendo:
Periodo: novembre 2014
Dove: Betty's café tea room, 46 Stonegate - York (UK)
Pregi: il locale curato, il servizio cordiale e raffinato, la cura dei dettagli.
Difetti: i prezzi! Ma magari per una volta nella vita...


Decisamente più alla portata di tutte le tasche, il tè con scones, clotted cream e confettura che abbiamo gustato in un'altra tea room in compagnia dei nostri amici.


Riassumendo:
Periodo: novembre 2014
Dove: Bullivant of York, 15 Blake Street - York (UK)
Pregi: semplicità, locale curato in stile retrò, interessante la selezione di confetture.
Difetti: la flemma delle commesse, incommensurabile.


Volendo chiudere con la serie "non ci siamo fatti mancare proprio niente!" ecco: mega tazza di caffè slavato a due manici (tanto che era grossa), fish and chips di un unto e bisunto che il mio fegato grida ancora vendetta, la pizza in svendita in strada ai passanti a fine serata, la deliziosa merenda di metà mattina al mercatino di beneficenza (tanto per fare pure un'opera di bene :-) ).


Insomma, avete adocchiato qualcosa di buono e che vi abbia ispirato un po' di gola?
Mi auguro proprio di sì. :-)
Tutte le immagini dei piatti possono essere visualizzate più ingrandite qui, assieme a tutti gli altri nostri assaggi zonzolosi de-gusto! :-)

A presto, ciao!


Qual è una delle combinazioni più sfigate che possano esistere per una donna?
Che sia pieno inverno, che faccia freddo, che nevichi, che la strada sia praticamente una roba inagibile, che tu debba tornare a casa, che tu sia dotata di un catorcio di macchina (la "Geppina" che mi ha lasciato mio nonno e guai a chi me la critica o tocca), che tu abiti in una valle frequentata più o meno come il deserto del Kalahari e che il tuo uomo sia a più di ottomila chilometri di distanza da te per lavoro.

Che probabilità mai ci potrà essere perché succeda tutto ciò?
Ebbene, una cosa che si impara dalla tenera infanzia è: mai mettere freni alla provvidenza della sfiga perché se la fortuna è cieca, lei ci vede benissimo!

Nemmeno a gufarsela guarda caso, prima che Massi partisse ho fatto la revisione alla macchina e l'odiosissimo ripassino invernale.
M: "Ti ricordi come si mettono le catene, vero?"
Ecco che parte l'interrogatorio, penso fra me e me.
E: "Ehm... più o meno."
La sua faccia non è molto contenta.
M: "Dai, dove vanno messe?"
E: "Alle ruote!" Cerco di restare serissima.
M: "Quali ruote?"
E: "A quelle dietro, no?" Ma non ce la faccio a trattenermi e capisce che scherzo.
M: "Daiii! Allora quando nevica devi guidare piano, con dolcezza e se vedi che la macchina non tiene devi guid..."
-Mamma mia che sporca che è la macchina, dovrei lavarla. Dovrei andare dalla parrucchiera, mi devo ricordare di chiamarla, oddio mi sono dimenticata una busta in ufficio, ma dove le ho messe le chiav...- La mia mente va.
M: "Pronto? Hai capito?"
E: "Sì, sì!"
M: "Allora ripeti!"
-Tana! Diamine!-
E: "Massi... ci sono cose che una donna può fare, ma che non vuole fare. Una di queste è mettere le catene. E non dire che è una roba da cinque minuti, perché anche leggere le istruzioni per il montaggio dei mobili o fidarsi ciecamente del navigatore invece di leggere i cartelli richiede meno sforzo eppure vuoi uomini proprio non ce la fate. Non è che non potete, non volete. In modi diversi siamo esattamente uguali. C'est la vie!"
M: "Fai come vuoi, io ti ho avvisata eh."

Riso alla pilota con salsiccia ricetta tradizionale tipica mantovana

Il giorno successivo la gufata, puntuale tanto che manco un orologio svizzero potrebbe fare altrettanto, si realizza più o meno in coincidenza con il decollo del consorte, prima con una nevicata leggera e mentre sto risalendo per la valle per tornare a casa si trasforma in una nevicata in piena regola con strade ovviamente deserte e al limite del percorribile.

Io e la mia Geppina sfidiamo intrepide la strada e i tornanti scivolosi, incrociamo uno spazzaneve che quasi ci sotterra, veniamo sorpassati da due pandini oldstyle, e tra la prima marcia e la seconda guadagniamo quota lente e inesorabili.
Per trenta minuti la mia testa ripete come un mantra "Dai Geppina, dai che ce la fai; non farmi mettere le catene. Dai Geppina, dai che ce la fai."
E lei pian piano ce la fa. Entriamo in paese dove la situazione migliora e quasi son commossa per l'impresa. Poche centinaia di metri e sarò a casa al calduccio sana e salva.

A due metri dall'ingresso del garage di casa mi accorgo che lo spazzaneve non ha ovviamente pulito quel tratto. Pure la Geppina ha un mancamento e mi si spegne sul colpo.
Provo e riprovo, avanti, indietro, in rincorsa, ma il tratto è leggermente in salita e non ce la faccio. Quando guadagno cinque centimetri poi ne riperdo dieci. Slitto inesorabilmente. Capisco di non avere speranze. Ma no! Per due metri (e guardatevi intorno per capire della misera distanza di cui sto parlando per una macchina) non metterò le catene! E' una questione di principio!

Apro il garage col telecomando, esco di macchina, rischio di ammazzarmi sul ghiaccio che ho creato, varco la soglia e vado alla ricerca di qualsiasi strumento che possa fungere da pala (che ovviamente era lì fino al giorno prima ma tanto per aggiungere sfiga in quel momento non c'è).

Il McGyver che c'è in me combinato alla mia cocciutaggine (che se non si fosse capito nei post precedenti, è molta!) e alla straordinaria potenza dei miei bicipiti sottosviluppati trasformano una scopa in un arma di distruzione di montagne nevose. Spalo tutto, sgombero il passaggio alle ruote e sistemo mucchi di neve dietro la macchina in modo da non andare ulteriormente indietro e in caso contrario non dover comunque graffiare la macchina.

Tutta sta scena mentre una tendina del vicino si scosta e tre trattori con benna mi passano a non molta distanza senza che manco uno si offra di aiutarmi.
E fanno bene! Perché direi di no, oramai tra me e la soglia del garage è una guerra aperta.
Ritento per due volte. Al minimo sentore di aderenza la Geppina slitta un po', sgomma e stride ma poi varca la soglia del garage trionfante.
Ce l'abbiamo fatta.
E io non ho messo le catene!


Rientrando in casa praticamente fradicia, non so se più per la neve o più per il sudore mi sono chiesta: "Sono o non sono una brava pilota?"
Al che, affamata come non mai, l'associazione nella mia testa puramente legata al nome, ma che non ha niente a che vedere col vero significato del termine (che spiego dopo), mi ha fatto venire in mente questo piatto che adoro e che mi ero davvero meritata per l'occasione.

Questo riso l'ho conosciuto grazie ad un'amica mantovana DOC che ce lo aveva servito anni or sono quando andammo a trovarla. L'ho amato dalla prima forchettata e spero che sia contenta di come l'ho preparato.
Non me ne vogliano i puristi, non avevo pasta di salamella mantovana ma pasta di maiale trentina (super genuina), e di uscire di casa per andarla a cercare direi che non era proprio il caso.
Il risultato finale era una goduria, ma per il giudizio lascio a voi l'assaggio. :-)

Riso alla pilota

Preparazione: 5 min.Cottura: 10-12 min.Riposo: 10 min.
Porzioni: 4 Kcal/porzione: 590 circa
Ingredienti:

  • 360 g di riso Vialone nano
  • 1 salsiccia - pasta di salamella (350 g circa)
  • 100 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
  • Acqua
  • Sale q.b.
Facoltativi a discrezione:
  • Brodo vegetale (al posto dell'acqua a me piace molto)
  • 20 g di burro
  • 1 scalogno
  • 1 rametto di rosmarino
Preparazione:

  1. In una casseruola versare il riso in acqua bollente salata (o brodo nel mio caso) di pari volume al riso, facendo in modo che quest'ultimo si distribuisca sul fondo uniformemente. Lasciare cuocere per 10 minuti senza coperchio.
  2. Spegnere i fuochi, coprire con un canovaccio che trattenga l'umidità e anche il calore e lasciare riposare per 10 minuti.
  3. Nel frattempo che il riso termina la cottura sgranare la salsiccia (o se si ha la pasta di salame ancora meglio) in una padella con una piccola noce di burro e farla cuocere per 10 minuti, eventualmente aggiungendo lo scalogno tritato e il rametto di rosmarino.
  4. Scolare il riso (non dovrebbe servire se le dosi di acqua erano giuste), versarlo nella padella tolta dal fuoco e mescolare.
  5. Sgranare il riso con i rebbi di una forchetta, unire il Parmigiano Reggiano grattugiato, mescolare e servire.
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Questa ricetta, come ho detto "poco" sopra, è un piatto tipico mantovano che prende il nome dagli operai che erano addetti alla pilatura del riso che erano chiamati appunto ”piloti”. Con pilatura si intende la pulitura del riso che veniva fatta tramite una pila, ossia un grande mortaio azionato a mano. Poiché i piloti erano grandi consumatori di questo piatto allora la ricetta ne ha preso il nome.

Si chiama riso alla pilota e non risotto perché il riso è bollito e non cotto in padella. Inoltre il risultato perfetto è un riso sgranato, affatto mantecato e che potrebbe sembrare all'apparenza molto asciutto, ma che in realtà ha una buona morbidezza data dal grasso della pasta di salamella e del formaggio.


P.S.: ehm, se qualcuno trovasse un video su YouTube di una pazza che fa mille manovre, spala, sgomma ecc. per entrare in garage, ecco... non ditemelo e non pubblicizzatelo troppo, grazie.


P.P.S. (aggiornamento del 29 aprile 2015): Daniela del blog Acqua&Menta mi ha scritto su Facebook che per quanto le risulta pare che questo riso sia nato perché i pilatori, che stavano preparando il riso, dovettero dedicarsi ad un'altra attività, per cui spensero il fuoco sotto l'acqua. Quando tornarono, il riso era perfetto, e diventò il loro modo di prepararlo. Grazie Dany! :-)


Dlin-dlon: momento di autoincensazione, lasciatemelo fare! Me lo merito!

The perfect japanese cheesecake?
Udite, udite! Ora posso dirlo: ho la ricetta!

Dopo un'infinità di prove davvero fantastiche nel gusto, ma ciofeche nella forma, tentativi su tentativi tanto che ho rischiato di fare harakiri in cucina un'infinità di volte, proprio non riuscivo ad ottenere il dolce perfetto: la consistenza ed il sapore erano perfetti, ma l'aspetto era sempre una delusione.

Non mi davo pace. Ne ho provate di tutte. La ricetta che si trovava sul Web (quella che va per la maggiore) risultava perfetta nel gusto, ma nella preparazione proprio non funzionava. E diciamocela tutta, e potrei attirarmi una valanga di polemiche, ma mica ho tanto chiaro come sia riuscita anche ad altri senza citarne il minimo problema. Ma lasciamo perdere. That's none of my business.
Quello che invece mi interessa è il mio risultato. Ora, siccome qui non si pubblica finché non si è provato e riprovato fino a che non si è soddisfatti, allora non l'ho mai fatto e ho continuato a provare. Non ho desistito e alla fine posso dire di aver vinto io. Tiè!

Al tempo del Signor Mohs non esistevo ancora, altrimenti avrebbe dovuto rivedere la sua famigerata scala in fatto di durezza e mettere la mia capoccia cocciuta al primo posto al posto del diamante.

La mia storia con questa torta, l'avrete capito, è di lunga data e alquanto travagliata. Per la cronaca ve la narro qua sotto con i dettagli sui fallimenti, che sono sempre utili da sapere per non replicarli. Qualora non vi interessasse né la storia, né gli errori potete andare direttamente alla ricetta, tanto li ho riassunti anche lì.
Sappiate però che a) vista cotanta ricetta donata al prossimo, b) visto il parto che ne è stato per la riuscita perfetta, e c) che stimo di aver piazzato almeno tre chili, un ciuffo di capelli bianchi e detto addio alla taglia 42, se leggerete pure la storia non potrò che essere contenta. E se non la leggerete almeno sentiatevi un pochetto in colpa, ecco.

Japanese soufflé cheesecake ricetta passo per passo recipe

Tutto ebbe inizio così.

C'era una volta uno dei miei dieci (no, dico 10!) nipoti che un bel giorno mi chiese: "Zia, facciamo quella torta buonissima?"
Ai nipotini non sapevo mai dire di no e gongolavo quando mi chiedevano di preparare qualcosa. Il problema era capire quale fosse "quella torta", visto che ne sfornavo un giorno sì e l'altro pure.
Alla mia domanda "quale torta?", lui rispose: "Quella che g'ha el nome come 'na roba strana, forèst. (N.d.R.: straniero in dialetto trentino) Ma me'l som desmentegà. Però l'era propi bona!"

E te pareva! Tanto ce n'è uno di dolce buono. Uhm, nome difficile e straniero...
"Sacher? Muffin? Crêpes? Cheesecake? Pancakes? Gaufres? Waffles? Brownies? Cupcakes? Pie?"
Ma niente, il nome non gli ricordava niente.
Dopo un interrogatorio degno del commissario Maigret in cui chiesi colore, sapore, grandezza, decorazioni, giorno in cui l'aveva assaggiata ecc. emerse che non conteneva né cioccolato, né marmellata, era alta, soffice e senza decorazioni.
Con queste informazioni restrinsi il campo ad una dozzina di dolci. Presi le vecchie foto delle torte dall'archivio e gliele misi davanti per l'identificazione del dolce del reato.

Il nipotino golosone non ebbe un attimo di esitazione. E' lei!
Era la Japanese Cheesecake.
Non un pan di Spagna, né una torta asciutta che impasta la bocca, ma un dolce umido la cui leggerezza e morbidezza sono una leggenda, tanto che è anche conosciuto come "Cotton japanese cheesecake", o "Soufflé cheesecake". Ecco il nome con il quale gliela avevo presentata.

Preparai il dolce per la seconda volta in vita mia seguendo passo passo la ricetta che si trovava su vari siti Web. In cottura lievitava straordinariamente, quasi troppo, ma sempre dopo un'ora e passa di cottura si sgonfiava, si ritirava e tornava quasi al livello di quando lo avevo infornato, ma con la superficie brutta e rugosa. Il gusto era buonissimo, per cui nessuno si lamentava, ma io non ero soddisfatta.

Nei tentativi successivi (ne conto ormai più di una dozzina) provai a cambiare gli ingredienti, le proporzioni, cercai su siti inglesi (anche giapponesi ma vai a tradurli te quei simboli!) per paura di errate conversioni sui sistemi di misura, cambiai il metodo di montaggio e assemblaggio degli ingredienti, ma niente. Ogni volta che andava in forno lievitava che era una bellezza e poi anche se calavo la temperatura gradatamente dopo un'ora lei tornava sempre giù (come nella foto qui). E il mio morale la seguiva di pari passo.

Online vedevo foto di questa cheesecake che mi parevano perfette e non mi capacitavo del perché a me proprio non riuscisse. Fino a che un giorno ho trovato questo sito qua, in inglese, dove Leslie (il blogger) raccontava le sue problematiche (che erano identiche alle mie) spiegandone le motivazioni e come risolverle scientificamente. Scoprii che i miei problemi erano il tempo e il modo di cottura.

Io, che oramai non sapevo più a che Santo votarmi, dovevo credere nell'unica cosa che funziona sempre: la scienza. Studiai per un'ora e mezza (in più puntate) tutto il lunghissimo post che questo ragazzo aveva pubblicato, con tutte le meticolose spiegazioni scientifiche del perché la preparazione di quella ricetta tanto utilizzata non poteva funzionare con le indicazioni che avevo seguito fino a quel momento.

Deo Scientia gratias! Ma allora non ero io che sbagliavo, era la preparazione sbagliata! Ma allora gli altri come avevano fatto? Ah... questo non lo sapevo, ma a quel punto non mi restava che provare il metodo del buon caro Leslie.

Ennesima spesa, ennesimi ingredienti, ennesima preparazione fino al momento in forno. Già qui vidi subito la differenza: non cresceva più esageratamente. Ero comunque preoccupata: poco dopo lo spegnimento del forno ero già pronta all'ennesima delusione, all'ennesimo cupolotto imploso, e invece no. L'ho lasciata lì per due ore e incredula tornavo a vederla per appurare se era ancora così come l'avevo lasciata. Non ci credevo. Aveva funzionato.

Non ho mai fatto storie a chi voleva una fetta di un dolce appena sfornato prima di fare le foto, ma stavolta no. Dovevo immortalare il successo. Ce l'avevo fatta. E ora è giunto il momento di condividere cotanta bontà ed esperienza.
Una sola raccomandazione: seguire assolutamente passo passo tutti i passaggi!

Japanese soufflé cheesecake

Preparazione: 20 min.Cottura: 30 min.Riposo: 4-5 ore
Porzioni: 10 Kcal/porzione: 275 circa
Ingredienti:

  • 6 uova
  • 140 g di zucchero
  • 250 g di formaggio spalmabile tipo Philadelphia
  • 60 g di farina 00
  • 20 g di amido di mais
  • 100 ml di panna fresca (o latte intero)
  • 60 g di burro
  • ½ cucchiaino di cremor tartaro (o lievito per dolci)
  • 1 pizzico di sale
Aromi opzionali:
  • 1 cucchiaino di succo di limone
  • Scorza grattugiata di mezzo limone biologico non trattato
  • Semi di un baccello di vaniglia (o 1 cucchiaino di estratto)
Preparazione:

Da seguire meticolosamente passo passo.
  1. Preriscaldare il forno in modalità statica (caldo sotto e sopra) a 200 °C.
  2. Ungere con del burro una teglia di alluminio del ø 20 cm e dai bordi alti almeno 6-7 cm. Cospargerla con un velo di farina¹.
  3. In una ciotola a bagnomaria sciogliere completamente il formaggio.
  4. Unire poco alla volta i 6 tuorli e mescolare.
  5. Aggiungere metà dello zucchero (70 g quindi) e mescolare.
  6. In un recipiente scaldare al microonde la panna (o latte) e il burro e poi unirlo al composto. Mescolare.
  7. Unire gli eventuali aromi scelti e il pizzico di sale che servirà ad esaltare il dolce.
  8. Togliere la ciotola dal bagnomaria e unire le farine setacciate. Amalgamare perfettamente.
  9. In una ciotola a parte iniziare a montare con le fruste a bassa velocità gli albumi.
  10. Unire il cremor tartaro (o il lievito) e poi montare alla massima velocità.
  11. Aggiungere gradualmente il restante zucchero (70 g). Montare sino a che fermando le fruste e sollevandole non si formano delle punte di meringa lunghe 6-7 cm. Non devono essere montati a neve ferma.
  12. Unire i bianchi al composto di formaggio (che dovrebbe avere una temperatura intorno ai 40-max 50 °C) un terzo alla volta. Mescolare dal basso verso l'alto cercando di non smontare troppo il tutto.
  13. Versare il composto nella teglia e, tenendola per i bordi, sbatterla delicatamente sul piano di lavoro per far affiorare eventuali bolle d'aria.
  14. Infornare a bagnomaria sul ripiano più basso per 17-18 minuti a 200 °C, poi abbassare la temperatura a 160 °C e cuocere per altri 12-13 minuti, dopodiché spegnere il forno².
  15. Non aprire il forno. Lasciare la torta all'interno per almeno 30 minuti (meglio ancora 1 ora) poi aprire di poco il forno e attendere altri 10 minuti.³
  16. Tirarla fuori e lasciarla raffreddare completamente4 prima di servirla.
Note:

  1. Se si vuole utilizzare carta forno è bene utilizzarla solo per il fondo. Si può utilizzare anche sui bordi per timore che nella lievitazione in forno il dolce possa fuoriuscire, ma tenere presente che poi potrebbero formarsi delle increspature laterali.
  2. Io facevo tutto correttamente fino a questo passaggio, ma sbagliavo la cottura prolungandola fino ad un'ora o più. Il risultato era una iper lievitazione (inutile) del dolce e poi con il brusco calo di temperatura avevo l'afflosciamento.
  3. Attenzione ai bruschi cali di temperatura, sono la causa dell'afflosciamento del dolce.
  4. E' normale se il dolce si abbassa di 1-1,5 cm durante il raffreddamento.
  • Il controllo della temperatura è fondamentale per la buona riuscita di questo dolce. E' bene utilizzare teglie in alluminio o con colori chiari poiché quelle scure assorbono calore più in fretta. Se la temperatura di cottura è troppo elevata il dolce tenderà a creparsi sulla sommità, se troppo bassa non lieviterà. Se il tempo di cottura è troppo lungo il dolce lieviterà molto ma poi imploderà, se troppo corto resterà più umido nella parte inferiore e saranno visibili gli strati di cottura.
  • Io la conservo in frigo e trovo che fredda sia deliziosa.
Indicazioni tratte dal post di Leslie Tay del blog "I eat, I shoot, I post".
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Non sarà ancora come questo qui del maestro Yamashita, ma oramai ci sono vicinissima! :-)

E se la provate e non venisse proprio perfetta, non demordete. Se invece vi riuscisse al primo tentativo, ecco scrivetemelo, così... tanto per farmi rodere il fegato. ;-) E mandatemi la foto, sarei contentissima di inserirla nella rubrica YourTurn #zonzoricette. :-)


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